Sentii una bicicletta passare davanti all’entrata del negozio, se così si poteva ancora definire, e il tintinnio di bottiglie che cozzano tra loro. Era il lattaio che faceva le consegne al pensionato di fronte. Evidentemente non trovava niente di strano nel vedere un uomo, che era stato malmenato e non lo nascondeva, appoggiato a quella che, fino a poco tempo prima, era la porta a vento di un telefono pubblico. Anzi, non mi notò del tutto. E perché avrebbe dovuto? C’erano un piccolo bar e un telefono pubblico – e nessuno dei due comprava il latte da lui.
Un motivo per cui ho sempre odiato l’estate è che la luce arriva troppo presto. Il sole prende una scorciatoia di cui nessuno, a quanto pare, conosce l’esistenza e la città diventa grigiastra molto prima che in inverno. Ma il problema è che, almeno in Banamali Nashkar Lane, tutti dormono ancora quando la luce estiva colpisce le porte e le finestre delle case. Tranne i lattai zombie, ovviamente.
Trattenendo il fiato controllai le tasche dei pantaloni. La chiave di casa c’era ancora. Come dare a Uma la notizia? Avrei dovuto fingermi in preda a una crisi isterica e continuare a ripetere maniacalmente i dettagli dell’aggressione? O semplicemente raccontarle i fatti con sufficiente intensità drammatica da farle capire che ero stato vittima di un terribile incidente ed ero gravemente turbato? Come avrei potuto affrontare l’argomento senza ricordarle che mi ero dimenticato di assicurare il locale? Con in mente due modi opposti di descrivere i fatti, mi trascinai su per le scale strette. Mentre lasciavo il mio cubicolo, notai che la luce al neon era ancora accesa e ronzava. Nessuno si era preoccupato di spegnerla con una sprangata.
Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra
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