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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su india

Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra

Uma era bloccata nel solco di un mondo in cui la corruzione era un’anomalia, e non la norma. C’era qualcosa che si poteva definire perfetto, e un sacco di altre cose imperfette. Incurante del fatto che le ultime superavano di gran lunga le prime di un infinità a zero, era così che lei vedeva la vita, sia nelle forme più basse che in quelle più alte. Con il pulsare sordo del dolore che si diffondeva nel mio corpo, arrivò l’ondata di disprezzo. Uma aveva soffocato la mia esistenza, e il disastro al piano di sotto mi aveva fatto in un certo senso rendere conto che l’amore poteva essere venduto anche come un fluido corrosivo.

 

 Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra

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Annie Zaidi e la guerra

Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, parla nel suo intervento su D – la Repubblica delle Donne della guerra e delle sue conseguenze economiche e sociali, alla luce del riaccendersi di alcune recenti tensioni tra India e Pakistan.

Annie Zaidi e la borghesia

Nel suo ultimo interventu su D – la Repubblica delle Donne Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, fa il punto su come le diversità in India stiamo subendo un processo di appiattimento. Questo avviene in vari ambiti culturali, trascinati dal gusto della borghesia e da esigenze di omologazione legate al turismo.

Annie Zaidi e lo smog in India

Nell’ultimo intervento su D – la Repubblica delle Donne, Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, parla di come sia aumentato l’inquinamento a Delhi, fino a farla diventare quella che secondo alcuni è la città più inquinata del mondo. Secondo la scrittrice indiana l’arrivo delle multinazionali nell’agricoltura ha contribuito influendo su alcune abitudini legate alla tempistica della bruciatura dei resti del raccolto.

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

Il ragazzo era tornato a rispondere a monosillabi. Yudi rimase in silenzio per qualche istante, mentre il treno sfrecciava tra Mahalakshmi e Lower Parel. Sul volto gli era scesa un’ombra di tristezza, che gli conferiva un’espressione corrucciata. Il sesso occasionale era così strano. Incontravi uno, ci diventavi intimo per poche ore, per non dire minuti, e poi gli dicevi tanti saluti – magari per sempre. Le possibilità di rivedersi erano minime, specie a Bombay. Yudi cercava di non farsi coinvolgere dai suoi partner, altrimenti la sua vita sarebbe stata uno strazio perpetuo.
Mentre il treno rallentava, la malinconia svanì.
«Vuoi che venga con te?», gli chiese il ragazzo.
La domanda colpì Yudi come un fulmine a ciel sereno.
«No, no», disse, irritato. «Come puoi venire con me?».
Il ragazzo si alzò e si diresse alla porta. Il cuore di Yudi prese a battere veloce. E se il ragazzo si fosse rifiutato di andarsene senza aver battuto cassa per la prestazione? Era la sua cosiddetta prova del nove: se i tipi tentennavano, una volta giunto il momento di separarsi, voleva dire che pretendevano la mazzetta.

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

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Annie Zaidi e il movimento Me Too in India

Nel suo ultimo intervento su D – la Repubblica delle donne, Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, parla del recente successo del movimento Me Too in India. Diverse iniziative hanno portato a un aumento della sensibilità generale sul tema, anche grazie all’aiuto dei social network.

Annie Zaidi e l’identità indiana

Nel suo ultimo intervento su D – la Repubblica delle Donne, Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, ci fornisce un quadro sul dibattito relativo alla vera origine etnica dei primi indiani, anche alla luce di alcuni ritrovamenti archeologici che lo hanno recentemente riacceso.

Da Le torri del silenzio, di Cyrus Mistry

«Fate passare! Fate largo al cadavere…».
Quando siamo arrivati a Kalbadevi, la tonante voce di basso di Rustom aveva perso un po’ della sua baldanza, e le sue grida si erano fatte più flebili e sporadiche. Io mi sentivo le gambe malferme e tremanti. Ciò nonostante, la gente si faceva da parte, rispettosa, e alcuni mormoravano perfino tra sé: «Un cadavere parsi!», quasi stupiti che la morte avesse davvero colpito un membro di quella comunità privilegiata e singolare.
Sarebbe stata una scarpinata lunga e noiosa, lo sapevamo tutti, anche se avevamo preso la via più breve possibile: superata la Flora Fountain e Dhobi Talao, attraverso Girgaum e Hughes Road, per arrivare infine alle Torri. Ma a un certo punto, sotto il sole cocente, sono inciampato, rischiando di perdere la presa sul catafalco.
Non mangiavo niente dalla sera prima. Poco prima di andarcene dalla casa di Cusrow Baag, alcuni vicini gentili della famiglia del defunto ci avevano allungato una ciotola di terracotta piena di vino di palma – aspro da morire, ma l’avevo bevuto avidamente, perché avevo la bocca riarsa – e cubetti marroni di zucchero grezzo infilati in ciambelline morbide di pane bianco: ci dovevano dare energia per la lunga camminata del ritorno.

Da Le torri del silenzio, di Cyrus Mistry

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Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Le porte di una «resa» benevola erano state sbarrate più o meno nel 2004. L’allora ispettore capo della polizia, Sanjay Rana, mi disse categoricamente che ai Gadariya non sarebbe più stata concessa la possibilità di negoziarne i termini. Sarebbero stati arrestati, oppure uccisi durante uno scontro a fuoco.
Il massacro di Bhanwarpura, in cui tredici Gujjar erano stati sequestrati all’alba, legati mani e piedi e uccisi a sangue freddo, aveva scosso le coscienze. Il consenso dell’opinione pubblica calava sempre di più.
Eppure non era una questione semplice, un mucchio di criminali che uccide un gruppetto di contadini indifesi. In India, niente è mai così semplice. Le vittime erano perlopiù Gujjar, una comunità in posizione relativamente dominate nella regione, seconda solo ai Thakur in quanto a terre, denaro e potere. Molti uomini di loro portano armi e si spostano a cavallo più per status symbol, che per necessità. Il 70 per cento delle armi della fascia del Chambal sono in effetti di proprietà di Gujjar e Thakur. I Gadariya, al contrario, sono poveri caprari. Non hanno peso politico, e pochi di loro posseggono armi.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Dalit a cavallo

Nel suo ultimo articolo su D – la Repubblica delle Donne, Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, affronta il tema dei dalit e di alcuni episodi di violenza mentre andavano a cavallo, ancora ritenuto dai più conservatori un privilegio riservato alle classi superiori.

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