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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su citazioni

Da Le tre porte, di Han Han

Finalmente Ma Debao cominciò la lezione. Era la prima volta che affrontava una combriccola di patiti della letteratura – che in realtà erano appassionati di viaggi –, quindi sentiva l’esigenza di darsi un tono. La sera precedente aveva fatto le ore piccole per prepararsi, consultando un sacco di dizionari a caccia di citazioni colte. Esordì così:
«La letteratura è il piacevole incanto di apprezzare il bello, cosicché noi, in primis, dobbiamo comprendere che cosa sia la bellezza. Esiste una branca della fi losofi a che studia la bellezza che si chiama estetica, ma non c’è una bruttologia che indaghi il brutto, da ciò possiamo dedurre l’importanza della bellezza…». Ma Debao fece una pausa per lasciare spazio alla risata generale che aveva previsto, ma regnava un silenzio di tomba. Mentre si rimproverava per essersi espresso in modo troppo ricercato per gli studenti, che mancavano di acume, si agitò e andò nel pallone. Bevve un sorso d’acqua per riprendersi, intanto il seguito del discorso non si decideva a saltare fuori. Si ritrovò in balia della situazione, alla disperata rincorsa del fi lo del ragionamento che, stranamente, non riusciva a recuperare nella sua vasta memoria, era come cercare nel buio più pesto qualcosa a tastoni.

Da Le tre porte, di Han Han

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Da Duplice delitto e Hong Kong, di Chan Ho Kei

Eppure sentivo che qualcosa non quadrava.
Esaminai l’intera vicenda e, sebbene non riuscissi a trovare nessun elemento concreto a cui appigliarmi, avevo uno strano presentimento.
Lam Ken-Sang non era l’assassino.
Era una sensazione che non mi sapevo spiegare. Perché ritenevo innocente un pregiudicato che tutte le prove indicavano come colpevole? Non riuscivo proprio a darmi una risposta.
«L’intuito del poliziotto».
Ricordavo di averlo detto la sera prima e gli altri si erano messi a ridere.
«Ma quale intuito! Non diciamo cazzate! Chi credi di essere?».
«Ehi, grande detective! Sarà meglio che vai a casa a riposare un po’».
«Non ti mettere a fare casini, noi dobbiamo attenerci a quello che ci dicono di fare, se facciamo incazzare i superiori stiamo freschi!»

Da Duplice delitto a Hong Kong, di Chan Ho Kei

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Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

I Gujjar e gli altri professionisti della classe media di Shivpuri volevano morti i Gadariya perché li temevano, eppure non potevano a denti stretti negare loro un certo rispetto, soprattutto visto che quegli uomini erano in netto contrasto con banditi come Nirbhay Gujjar, o come quelli che avevano rapito Phoolan Devi prima che anche lei diventasse una fuorilegge. I Gadariya non bevevano, trattavano le donne con riguardo e di solito erano abbastanza rispettosi delle loro vittime.
In effetti, a sentire i dacoits dell’epoca precedente l’Indipendenza, quasi tutte le bande di un tempo erano vincolate a un rigido codice etico. Raghuveer Singh Gussi, un vecchio dacoit da me conosciuto in un secondo viaggio, tempo dopo, affermava con insistenza che, pur non distribuendo direttamente le proprie ricchezze agli altri, erano pronti a dare denaro ai bisognosi che glielo chiedevano. Rubavano solo ai ricchi, e non avrebbero torto un capello a una donna neppure se fosse stata ricoperta d’oro.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

Ma un pomeriggio, sul finire della stagione delle piogge, tutto cambiò. Le telefonò chiedendole di raggiungerlo subito in ambasciata. Non l’aveva mai fatto prima ed era ancora più inconsueto perché si sarebbero dovuti incontrare solo poche ore dopo, per la cena. Disse che non poteva spiegarsi al telefono, lasciando Marisa in uno stato d’animo di vaga aspettativa mentre procedeva nel traffico verso l’ambasciata. Pensò perfino che lui fosse impaziente di vederla perché la desiderava. Ma quando arrivò sul posto e fu accompagnata in una saletta da un compassato funzionario, capì che c’era qualcosa che non andava. Eduardo entrò ma non la baciò. Poi, senza preavviso, lisciandosi la barba ben curata e girando intorno a un tavolo di marmo come se fosse sottoposto alla pressione di una grave crisi diplomatica, dichiarò che non potevano più vedersi, che a breve avrebbe lasciato Bangkok, che lei avrebbe dovuto portare via subito tutte le proprie cose da casa sua. Disse che gli dispiaceva, ma non spiegò in alcun modo il suo comportamento.

Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

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Da Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya

«Nolen! Nooo-lee-n! Figlio di buona donna! Cos’è, ti sono cresciute le alghe nelle orecchie?» urlava Bhodi dal tetto.
Un gruppo di corvi mangiava scarti di riso soffiato in un angolo del terrazzo. In una vasca sgangherata stava una pianta morta di basilico sacro, con fiori marci sparsi intorno alle radici. Il terrazzo spoglio era coperto di muschio. Nelle fessure tra i mattoni strisciavano lumachine tonde tonde. Stava spuntando anche un giovane albero di baniano. Sul terrazzo c’era, come sempre, una stuoia unta, dai bordi sfilacciati, con sopra una vecchia scatola di latta arrugginita piena di cotone, una lente d’ingrandimento dei tempi di Matusalemme, pezzi di vetro rosso e blu, e una copia dell’«Anondobajar» che cercava costantemente di volare via benché fosse tenuta ferma dal peso di un mattone. Bhodi si avvicinò a un angolo del terrazzo spoglio per guardare in basso, verso il cortile. Nolen coglieva dei fiori di gelsomino e li metteva su un vassoio di bronzo.
«Stavo gridando come un’aquila per chiamarti, disgraziato! Non ti funzionano le orecchie?»
«Ah, non ho sentito. Devo andare?»
«Vai vai, quando ti accendo un cerino in bocca sulla pira funebre allora puoi andare. Bechamoni dov’è?»
«La signora è al gabinetto».
«Quando ha finito dille che faccia il bagno in fretta e mi porti subito il mazzo con tutte le chiavi. Quante stanze sono occupate?»
«Due. La numero uno e la tre».
«Arriverà altra gente. Fatti la doccia anche tu, insaponati e scrostati per bene, poi va’ a prendere l’acqua nel Gange».
«Come mai così presto?»
«Fa’ quel che ho detto, idiota! Oggi verrà aperta la stanza dei dischi! Oh Madre! Madre santa!»

Gli ammutinati di CalcuttaNabarun Bhattacharya

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Da La somma delle nostre follie, di Shih-Li Kow

C’erano bambini ovunque, giocavano nell’acqua opaca dove le strade erano diventate liquide. Erano gli stessi bambini che durante l’eclissi si erano divertiti a far stare in equilibrio le uova. I più piccoli galleggiavano sull’acqua all’interno di bacinelle e secchi. Un monello con occhiali da aviatore stava sdraiato in un ampio kawah, un wok grande come un cratere che si utilizzava per i matrimoni o per cucinare il dodol. Vidi alcuni di loro cercare di stare in piedi su una porta traballante legata a un lampione. I ragazzini più grandi saltavano con una capriola dai tetti e dai rami degli alberi nell’acqua. Alcuni si appendevano ai cartelli stradali e facevano smorfie come le scimmie. Con tutte le strade sommerse da acqua fangosa, il panorama era cambiato, non si riconosceva più.
I bambini mi salutarono con la mano mentre passavo nella mia barca ridicola.
Li avvertii: «State attenti ai coccodrilli e ai serpenti. Jangan nanti kena makan buaya». Loro risero e fecero finta di essere coccodrilli, nuotandomi accanto.

Da La somma delle nostre follie, di Shih-Li Kow

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Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

Dopo la rimpatriata, durante la quale ciascuno aveva spiegato ai compagni che lavoro faceva e quale posizione ricopriva, andai da solo a fare una passeggiata nel parco per misurarlo con i passi: quarantotto in lunghezza e venti in larghezza. Era il luogo che custodiva i ricordi più teneri dell’infanzia, e io lo avevo tradotto in cifre. Mi tornò in mente un giorno: era l’ora di pranzo, il sole era accecante, io mi ero arrampicato sul punto più alto dello scivolo e da lì avevo spiccato un salto aggrappandomi all’asta della bandiera. Poi mi ero spinto ancora più su di qualche metro sull’asta, aiutandomi con la corda. Da un’altezza mai raggiunta in precedenza da altri, avevo scrutato tutta la scuola, schiaffeggiato dalla bandiera nazionale che sventolava.
L’estate era alle porte.

Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

«Come esistono persone che fanno collezione di spade o guardano solo film improponibili…», aveva provato una volta a giustificarsi, «…così esistono anche persone che si dedicano al porno: che cosa c’è di male?».
Kiyŏng non aveva potuto fare altro che limitarsi ad assecondare quell’arringa, trattenendo un commento che sarebbe suonato più o meno così: «Caro mio, è tutta questione di fascino. Se tu avessi anche una micropuntina di fascino, questo tuo vizietto non creerebbe problemi a nessuno. Difatti, da uno che ha fascino si accetta di tutto: azioni immorali, menzogne e perfino crudeltà di ogni tipo. Al contrario, nessuno potrà mai perdonare a un povero spelacchiato come te, per giunta ridotto a lavorare in un’azienda sfigata come la nostra, il vizio di essere un maniaco sessuale!».

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

Il maestro si mise davanti al cavalletto di un’altra allieva, Ningfang, e iniziò a parlare con lei. Mentre chiacchierava con lui, Ningfang lanciò distrattamente un’occhiata verso Sixian che dipingeva nell’altro angolo, e si accorse che la stava fissando imbambolato. Incrociò il suo sguardo e lo ricambiò con un sorriso caloroso. A cosa stava pensando Sixian?
Nell’atelier c’erano sette persone: oltre a Jianxiong, al maestro e ai suoi tre allievi Sulan, Ningfang e Sixian, c’erano Zhang Wenzhong e un giovane che lo accompagnava. Si diceva che fosse un poeta appassionato anche di pittura, il quale faceva spesso copie a matita delle fotografie di scrittori uscite su libri e riviste e le pubblicava poi sui quotidiani. Aveva un atteggiamento un po’ arrogante, era la prima volta che faceva un ritratto dal vero e si aspettava di vedere una donna nuda; invece gli era toccato un ragazzetto ed era un po’ deluso. Ritrarre dal vero e copiare una fotografia però sono due cose ben diverse: il giovane poeta non aveva esperienza, dipingeva con grande energia continuando a correggere i contorni della figura ma, per quanto facesse, le proporzioni continuavano a essere sbagliate, la parte superiore continuava a essere troppo lunga e quella inferiore troppo corta. Il maestro, guardando il suo disegno, gli diede dei suggerimenti, ma il giovane si irritò: «Un dipinto non deve per forza essere somigliante. Se dipingere significasse copiare pedestremente la realtà, tanto varrebbe limitarsi a fotografare». Il maestro si accorse che il giovane era seccato e non disse più nulla.

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

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Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Non era un segreto. Tutti nel kampong sapevano che Margio rubava spesso i polli di suo padre, non perché ne avesse bisogno, ma piuttosto perché era arrabbiato con lui. «Non so cosa sia saltato in mente a quel ragazzo per azzannare il collo di una persona» replicò il Maggiore Sadrah.
La persona in questione, Anwar Sadat, in quel momento giaceva immobile sotto un batik marrone, sul pavimento del suo salotto, che era pieno di luce ma tetro per il dolore insostenibile e i singhiozzi intermittenti delle donne in lacrime. La stoffa, intrisa di rosso, seguiva i contorni del cadavere, mentre il sangue continuava a scorrere sul pavimento. Scuro e grumoso. Nessuno osava tirare la tenda che divideva il mondo dei vivi da quello del morto, perché erano consci della carne lacerata e della ferita aperta che rendevano il cadavere più macabro di qualsiasi spettro. Il semplice pensiero li disgustava.
Due poliziotti arrivarono a bordo di un’autopattuglia il cui lampeggiante rosso continuava a roteare, anche se la sirena era spenta. Si bloccarono entrambi sulla soglia, non sapendo bene che fare. La moglie della vittima aveva rifiutato qualsiasi esame del cadavere. Era giusto, visto che tutti sapevano come era deceduto quell’uomo e chi era responsabile della sua morte. Anwar Sadat non aveva bisogno di un’autopsia, e le uniche cose che gli sarebbero state garantite erano il lavaggio rituale, il riempimento della ferita con batuffoli di cotone, le preghiere e una sepoltura immediata.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

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crumpacker.randall@mailxu.com