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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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    • Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra
    • E adesso? su Bnews (Università Bicocca)
    • Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan
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Tutti i post su citazioni

Da Se non è amore vero allora è spazzatura, di Zhu Wen

Per tutto il pomeriggio Xiao Ding rimane disteso sul letto ad aspettare la telefonata del padre. Ma il telefono squilla solo due volte, e in nessuno dei due casi è papà. La prima volta è Yu Yang, è a un ricevimento e si è fatta prestare il cellulare per scambiare due parole con Xiao Ding: il segnale è debolissimo, sembra stia facendo uno sforzo sovrumano. In sintesi dice che si trova a Shanghai e che, quando avrà finito le sue cose lì, magari potrebbe fare un salto a trovarlo; ha l’aria di sondare il comportamento del suo interlocutore. Xiao Ding tiene premuto sull’angolo dell’occhio un fazzoletto riempito di pezzetti di ghiaccio che puzzano di pesce. Forse però non è la cosa giusta da fare, e non è sicuro che funzioni. L’altra telefonata è di un amico con due incisivi finti, detto Coniglio: evidentemente mentre telefona a Xiao Ding non se li è infilati, sicché la voce esce fioca e piuttosto strana. Gli chiede se la sera ha tempo di andare da lui a giocare a majiang, ma Xiao Ding risponde scorbutico: Prima di farmi domande rimettiti i denti, non capisco cosa stai dicendo. E riattacca.

Da Se non è amore vero allora è spazzatura, di Zhu Wen

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I miei luoghi citato su Origami (La Stampa)

Il settimanale Origami, allegato a La Stampa, ha pubblicato una breve citazione da I miei luoghi, di Annie Zaidi.


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Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

Non mi ci volle molto a scoprire che in India è piuttosto facile vivere su un treno. Per trovare cibo e amici ci si rivolge sfacciatamente ai compagni di viaggio. Si evitano facilmente i capitreno e il personale ferroviario in genere schizzando nel gabinetto ogni volta che compaiono. E se poi ci si fa crescere barba e capelli come poi alla fi ne feci io, se si indossano vestiti sciatti e sporchi, si fi nisce con l’essere scambiati per un sadhu e si riceve l’elemosina; in questo modo si può tirare avanti senza guadagnarsi da vivere.
Il giorno successivo, da Secunderabad feci ritorno dai genitori che trovai talmente in ansia da essere inclini al perdono. Ricominciai a frequentare l’università. Ero il fi gliol prodigo, ancora immaturo. Mi ci vollero molti più anni, durante i quali ci furono diverse false partenze, tentativi di mettersi su un treno e piantare in asso i miei genitori dopo una lite, per arrivare a trovare il coraggio di rinunciare alla vita domestica e diventare un vagabondo senza meta.

Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

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Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

Si alzarono per andarsene. Yudi gli chiese dove fosse diretto. Lower Parel. Avrebbero percorso la stessa strada, allora. S’incamminarono verso la stazione di Marine Lines. Il ragazzo non era pratico della zona e si lasciò guidare da Yudi. Notò che quello strano tipo di Pandava non gli teneva più la mano.
«Dove lavori?», chiese.
Yudi avrebbe voluto che stesse zitto. Stava diventando fastidiosamente loquace.
«Faccio il giornalista… il reporter… presente?»
«Reporter? Per che giornale lavori?»
«Nessuno in particolare. Sono quello che si definisce “freelance”. Scrivo per vari giornali e riviste».
Un dubbio attraversò la mente del ragazzo. Non è che Yudi avrebbe fatto il suo nome scrivendo del loro rapporto?
«Di cosa scrivi?», domandò qualche istante dopo.
«Di tutto un po’», fu la risposta annoiata.
Ma d’un tratto il ragazzo se ne venne fuori con un’uscita tale che Yudi drizzò le orecchie, come un cane.
«Io appartengo alla classe lavoratrice, tu a quella chiacchieratrice».

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

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Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

K era tornato dopo cinque anni di assenza solo quando aveva saputo della scomparsa della madre. Dopo aver lasciato la scuola superiore era andato via di casa, e da allora era cambiato molto più di quanto ci si potesse aspettare. Il giorno del funerale, K aveva comunicato che preferiva non partecipare alla cerimonia: né il fratello né altri avevano cercato di fargli cambiare idea. E proprio nel momento in cui la terra ricopriva la bara della madre, lui se ne stava lì sul divano a spassarsela con Giuditta. C aveva messo a confronto la fatica che aveva fatto per organizzare il funerale della madre con il piacere carnale del fratello. Si era sentito stanco. Una volta entrato in camera da letto, si era addormentato con i vestiti ancora addosso.

Da Ho il diritto di distruggermi, di Kim Young-ha

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Da Malesia Blues, di Brian Gomez

I clienti dell’Hideout se n’erano andati tutti per quella sera, e a Pak Jam andava bene così. Un po’ di musica e qualche chiacchiera. Accese una canna, fece un tiro e la passò a Terry.
«A che ora vengono i ragazzi?», chiese.
«Dovrebbero essere qui tra poco, lah. Si bevono un paio di birre qui, poi ce ne andiamo. In qualche albergo, probabilmente», rispose Terry.
«Insomma è la gran notte, eh? La festa di fine-libertà».
Terry si limitò a stringersi nelle spalle. Diede un tiro alla canna come se fosse il suo ultimo respiro.
Terry aveva un’aria troppo sfatta per i suoi ventotto anni, considerò Pak Jam. Non lo conosceva bene, ma gli piaceva stare in sua compagnia. Era un ragazzo sveglio. Sapeva reggere una conversazione. E santo Dio, se lo sapeva suonare, il blues!

Da Malesia Blues, di Brian Gomez

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Da E adesso?, di A Yi

Con un’arma del genere, la cosa avrebbe assunto un sapore rituale. L’ho messa nella cartella e mi sono confuso tra la folla, però non ho resistito a lungo e ho infilato la mano per far scat-tare la lama. Ta c, usciva, tac, rientrava. Avevo le vertigini. Ero l’angelo della morte e potevo decidere della vita dei passanti. A me toccava scegliere, a loro non restava che sperare nella fortu-na. Tuttavia si ammazza qualcuno se ne vale la pena, e nessuno mi sembrava adatto. Finché mi è venuto incontro un giovane che si sistemava i capelli con un pettine guardandosi intor-no. Era alto circa un metro e ottanta e portava grosse scarpe di cuoio, pantaloni con la piega e una camicia nera attillata, aperta sul petto. Quel tizio allampanato era ridicolo con le sue spalle strettissime che ricordavano una gruccia. Eppure nulla turbava l’alta considerazione che aveva di sé; camminava im-pettito, con un sorriso tirato. Mi sono immaginato che avesse appena ricevuto una promozione e un ufficio, lui che fino al giorno prima era talmente disperato da scoparsi le vedove.
Ci siamo incrociati come due bastoni, come due alberi, e anche se non lo sa, io l’ho ammazzato con il pensiero.

Da E adesso?, di A Yi

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Da Le torri del silenzio, di Cyrus Mistry

Immerso in quei pensieri, non ho notato un uomo particolarmente magro e cadaverico, con una grossa verruca sulla fronte, seduto nella veranda in mezzo a una folla di famigliari e amici. Neppure lui mi ha visto mentre mi avvicinavo. Era semplicemente distratto, o forse troppo inebetito dalle lunghe ore di preghiera? Con una gamba incrociata sull’altra, agitava con vigore il piede puntato all’insù mentre muoveva le labbra, senza emettere suoni, concentrato su un libro di preghiere molto piccolo ma voluminoso.
Mentre gli passavo accanto, ho sfiorato con la gamba la scarpa dell’uomo che dondolava. Un incidente, è chiaro, ma quell’uomo all’apparenza così preso dalle preghiere, così dimentico di ciò che lo circondava, ha ripreso vita di colpo. È balzato in piedi con uno scatto da giocattolo a molla e ha iniziato a tremare come una foglia. Alcuni dei presenti hanno notato che stava accadendo qualcosa di straordinario. Quella figura ossuta ha cominciato a emettere ronzii sonori e insistenti, come un’ape furibonda. Mi stava dicendo qualcosa, con ogni probabilità mi insultava, protestando perché lo avevo contaminato: ma lo faceva senza parole, senza aprire le labbra che restavano sigillate.

Da Le torri del silenzio, di Cyrus Mistry

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Da Cortina di pioggia, di Tew Bunnag

La situazione in cui ci troviamo ci ha obbligati a tornare al presente e a una semplicità che avevamo dimenticato. Ha fatto anche avvicinare ulteriormente i pochi di noi rimasti in questo edificio. Siamo circondati costantemente da morte e incertezza. Penso che dalla condivisione di questa situazione difficile sia sorto qualcosa di positivo e mi ritrovo a chiedermi: l’alluvione, terribile com’è e con tutte le sofferenze che ha portato e porterà, può davvero rappresentare l’eliminazione di tutto ciò che è marcio in questa città, la fine del ciclo di consumismo aggressivo e avidità che ci hanno divisi? Può promuovere un senso di comunità e collaborazione che farebbe una differenza sostanziale nella nostra società? Posso solo pregare che sia vero.
Circondato da tanta incertezza, non sono più preoccupato per la precarietà della mia salute. Non ho più così tanta paura di morire. Spero che questo coraggio duri fino alla fine.

Da Cortina di pioggia, di Tew Bunnag

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Da La ragazza del karaoke, di Claire Tham

Qualche sera dopo, durante le sue peregrinazioni per la città, si ritrova davanti al Golden Palace Hotel, a osservare un corteo di auto di lusso superare il cancello d’ingresso. Sta per girarsi e andarsene, quando un uomo che ha appena affidato la sua coupè nera al parcheggiatore incrocia il suo sguardo e dopo un brevissimo attimo di esitazione, le si avvicina. La invita a bere qualcosa al bar dell’albergo.
Lei risponde: «Non sono vestita nel modo giusto». Indossa le solite cose che mette dopo il lavoro: jeans e un giubbotto di pelle nera liso e da pochi soldi.
Lui si mette a ridere e le dice che sta benissimo. Lei lo osserva, valutandolo. Deve aver passato i quaranta, che a lei sembrano tantissimi, ma è alto e in forma per la sua età, e tutto il suo aspetto parla di un uomo a suo agio con il denaro e se stesso, una cosa che a Mister Stufato mancava clamorosamente. Non c’è niente che la aspetta, a parte il suo minuscolo appartamento in affitto, il signor He e Celestino. Ling pensa all’acqua che sale verso il ghiaccio, che cerca le crepe, sgocciola e filtra senza sosta fino a diventare un torrente, mentre il ghiaccio si spezza e sprofonda in mare. La voce di Jiang nelle orecchie: Brutta troia. La rabbia che era rimasta lontana per giorni ora la stringe nelle sue grinfie. Accetta.

Da La ragazza del karaoke, di Claire Tham

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