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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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    • A Yi e Chan Ho Kei su Alias
    • Ayu Utami su Alias
    • L’impero delle luci segnalato su Internazionale
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Da Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya

Domenica 24 ottobre 1999, di mattina, Borilal realizzò che aveva dinanzi a sé tre possibilità. Poteva andare a vedere un film al cinema, poteva andare a trovare sua sorella a casa dei suoceri, a Belghoria, oppure, per esercitare la consapevolezza di sé, poteva andare al campo crematorio di Keoratola a studiare le debolezze dell’essere umano. Per qualche misterioso motivo, Borilal fu attratto verso l’opzione Keoratola. E si lasciò condurre da quell’attrazione.
Al campo crematorio di Keoratola non esistono tour guidati. A quanto risulta, nessuna agenzia di viaggi ha mai lanciato slogan pubblicitari del tipo «Venite ad assistere a una puja a Keoratola!», oppure «Andiamo con i nostri amici a fare un bel giro a Keoratola!». Borilal, però, aveva notato la presenza di una guida invisibile, che per prima cosa conduce in maniera decisa il visitatore verso la parte dove ci sono i forni elettrici, quelli che a seconda del peso e della dimensione del corpo aprono e chiudono e riaprono e richiudono il portello come una grande mandibola. A meno che non si rompano. Quando tutte le fornaci sono accese nello stesso momento, si presenta una di quelle scene sovrannaturali che in pochi possono dire di aver visto. D’altra parte di morti non c’è mai penuria. A volte si crea una coda talmente lunga che a Keoratola si registra il tutto esaurito, e allora i morti devono andare a Shiriti o a Goria per liberarsi dal proprio corpo. I visitatori di solito si fermano a vedere i forni elettrici e, soddisfatti della loro esperienza al campo crematorio, dove hanno meditato sulla vacuità dell’esistenza umana, si dirigono a passo svelto verso le bancarelle di cibarie e snack. Una volta i morti venivano bruciati a legna sulle pire funebri. Anche il forno elettrico è desueto. Ormai in tutte le case si è fatto spazio per un piccolo forno a microonde, una versione in miniatura della suddetta fornace. Questo tipo di forno ovviamente non produce ceneri, però ha le opzioni grill, bake, tandoori eccetera. E di solito queste opzioni non vengono applicate al corpo umano.

Gli ammutinati di CalcuttaNabarun Bhattacharya

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Da Pavana per una principessa defunta, di Park Min-gyu

Fra gli alberi allineati comparve l’insegna luminosa del Santorini. Una luce solitaria e desolata, simile a una galassia sul punto di spegnersi.
«Pensavo che non sarebbe venuto», disse lei con la voce fioca e la testa china come un pupazzo di neve sul punto di essere deformato dal peso dei fiocchi.
Una stranezza di quel momento.
«Mi sei mancata tanto».
Quelle parole risuonarono nel mio cuore come un’allucinazione uditiva. Non le pronunciai ad alta voce. Mi limitai a rallentare per qualche istante il passo per spazzar via delicatamente la neve dai suoi capelli e dalla sua sciarpa. Nonostante la sua timidezza, lei mi imitò. Ci guardammo, come due pupazzi di neve che, posti uno di fronte all’altro, cercano di tranquillizzarsi. Senza dire una parola, l’abbracciai. Tutto ciò, seppur irragionevole, era alquanto prevedibile. Restammo così sotto la neve, sebbene lei fosse gelida come una principessa defunta. Una banderuola a forma di gallo posta sulla cima di un palo di ferro cigolò ruotando verso di noi. Su uno steccato dalla pittura scrostata era appesa una decorazione a tema natalizio le cui lampadine si accendevano a intermittenza come lucciole, sostituendo il cartello chiusura provvisoria affisso lì un mese prima. E quelle lucciole scintillanti furono per noi una benedizione.

 Da Pavana per una principessa defunta, di Park Min-gyu

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Da dollari la mia passione, di Zhu Wen

Questo è il prologo della storia, che però andando avanti si fa piuttosto triste. Xiao Ai in realtà è una passeggiatrice, sì, insomma, una che per guadagnarsi da vivere va a letto con chiunque. Tutte le settimane va a farsi fare un ritratto da Xiao Lin, che con quel che lei gli dà riesce a campare e a comprare qualche colore. Ogni volta che lui finisce i soldi, lei riappare. Va da sé che Xiao Lin, studiandola nel dettaglio tutte le settimane per farle il ritratto, se ne innamora perdutamente. Ma lei rifiuta ogni proposta meno che casta del pittore, che pur soffrendo può però continuare a dipingere. Superato così il periodo più difficile, Xiao Lin, che finalmente ha cominciato a vendere qualche quadro e a farsi un nome, decide di trasferirsi altrove per tentare di far carriera. Va in cerca di Xiao Ai per dirglielo e, penso io, per portarsela a letto, tanto per mettere una qualche etichetta al loro rapporto. Ma evidentemente il destino gli è avverso, e non la trova. Allora incolla sulla sua bancarella una lettera aperta per lei, nella quale le dichiara il suo amore, la supplica di non sfuggirgli e le lascia il nuovo recapito. Lontano dalla città, Xiao Lin vive sempre nell’attesa di una lettera da Xiao Ai, che però non arriva. Continua la sua carriera artistica ispirato dalla struggente nostalgia di quest’amore finché diventa un pittore famosissimo. Il finale è scontato come inevitabilmente succede in questo genere di storie: ottenuti fama e successo, Xiao Lin torna nella città d’origine dove s’imbatte per caso in Xiao Ai, prostituta ormai sfiorita e disertata dai clienti.

Da Dollari la mia passione, di Zhu Wen

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Da Le ceneri di Bombay, di Cyrus Mistry

Quel nome gli diede una scossa. Rivide file di banchi marroni e panche sfigurate da scritte puerili incise a mano. Rivide una decina di ragazzini dal volto arrossato in pantaloncini beige e camicia di flanella color crema, con l’odiata cravatta marrone. Vide se stesso in mezzo a loro. E un viso dal naso rincagnato da pugile, peloso ben più dei suoi coetanei, con una serie di denti equini e un paio d’occhietti perfidi. Sentì il braccio che gli si torceva e una fiatata calda che gli urlava nell’orecchio.
«Brutto figlio di puttana! Cosa mi hai detto? Prova a ridirlo! Ti spezzo il braccio. Ti strizzo le palle finché non pisci blu!»
«Ahiaaa… nooo! E lasciami! Pietà, Hoshi, pietà…». Poi, schizzato fuori tiro e quasi a metà del cortile non appena la morsa della sua stretta si era allentata (lui era veloce, e Hoshi troppo pigro per rincorrerlo), il grido: «Brutto ippo-pippopotamo!».
Le immagini si fecero più nitide e gli tornarono in mente altre scene: Ippo G. che molestava la professoressa d’inglese. Ippo G. che rovesciava mezza boccetta di inchiostro Camel blu reale sul retro della cotta bianca di un prete. Ippo G. che metteva una confezione intera di lassativo nel caffè dell’insegnante di disegno. Ippo G. che faceva girare un mazzo di carte porno durante l’ora della preghiera. Ippo G. con le braghe calate che si misurava le dimensioni del pene turgido con una squadra da disegno per decidere chi aveva vinto una scommessa. Alla fine il grande Ippopotamo, ormai assurto al ruolo di eroe leggendario, che veniva espulso dalla scuola.

Da Le ceneri di Bombay, di Cyrus Mistry

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Da Le donne di Saman, di Ayu Utami

Nel piccolo aeroporto Sihar colpì ripetutamente con i pugni la panca in formica, scorticandosi le nocche delle mani. Colava sangue arancione scuro. Il sapore salato dell’aria di mare impregnava da ogni lato la piccola isola. Era infuriato con se stesso per non aver colpito Rosano così da impedirgli di causare il disastro che aveva previsto. E adesso per colpa sua il corpo del suo amico era scomparso senza alcuna traccia. Il solo commento di Rosano fu: «Anche noi siamo dispiaciuti per quello che è successo. Ma hanno agito in modo incauto. Tutto sommato l’incidente non è poi così grave. Infatti non abbiamo dovuto evacuare la piattaforma. E per questo possiamo considerarci fortunati. Purtroppo è uno dei rischi del lavoro», e  aggiunse altre poche parole di giustificazione che mostravano quanto considerasse di poca importanza l’incidente appena avvenuto. Sihar si maledì. Era disgustato.

Da Le donne di Saman, di Ayu Utami

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Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra

Per qualche motivo Shishir fu un po’ irritato dalla mia decisione di lasciare il pensionato, ma faceva del suo meglio per non dimostrarlo. Durante uno degli ultimi giorni che passai con i ragazzi del n. 72, cercò di aizzare Ghanada contro di me e la «dolce decisione» che avevo preso.
Devo ammettere che mi metteva a disagio lasciare quel posto senza appianare le divergenze. Era una scelta insolita, soprattutto in questa parte della città in cui due persone di sesso opposto di rado, se non mai, vanno a «vivere insieme». C’era qualcosa di socialmente diabolico in quella situazione e, a essere sinceri, lo sentivo. Ma Ghanada mi mise a mio agio iniziando a raccontare di un incidente che gli era capitato quando aveva dovuto demolire un edificio a Ulan Bator senza l’aiuto di esplosivi. Così – lo ricordo chiaramente, nonostante la nebbia – passai la mia ultima sera al 72 di Banamali Nashkar Lane.
Il giorno dopo facevo l’amore al 14 di Banamali Nashkar Lane.

Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra

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La Cina sono io su Penne d’Oriente

Il blog Penne d’Oriente ha parlato di La Cina sono io, di Xiaolu Guo, soffermandosi in particolare sulla trama e sulle connessioni della storia con le vicende di piazza Tienanmen.

Il romanzo La Cina sono io è denso di storia e di trama. La protagonista è Iona Kirkpatrick, una giovane londinese che si occupa di traduzioni dal cinese, la sua vita viene sconvolta quando riceve un pacco da una casa editrice anonima. La busta contiene parte di una fitta corrispondenza e pagine di un diario, Iona non sa da dove arrivino né chi possa avergliele mandate. Sono in cinese ed è evidente che si pretende da lei la traduzione di quegli scritti. La giovane, da subito incuriosita, inizia a dedicarsi a quel lavoro inaspettato.

(continua su Penne d’Oriente)

Santoni e impunità

Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi, nel suo ultimo intervento su D – la Repubblica delle donne parla di alcuni episodi di violenza sessuale perpetrati da popolari santoni, con un ulteriore seguito di scoperte legate ad altre attività criminali sul loro conto.

Nonostante questo, anche nei casi di incarcerazioni e poi di condanne, si è sviluppata una serie di violenze che hanno portato all’uccisione di testimoni e persone legate alle vittime, oltre a un forte clima di omertà attorno al grande seguito che continuano ad avere.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Quell’uomo era così attraente che non solo aveva affascinato numerose ragazze quando era arrivato in città la prima volta, ma perfino dopo tanti anni, vecchio, ingrassato e con i capelli che si diradavano, era ancora un idolo agli occhi di donne avventurose che aspiravano ad avere una storia con lui. I suoi bei lineamenti erano in netto contrasto con quelli di sua moglie. Con un naso che sembrava il becco di un pappagallo, la mascella troppo pronunciata e modi freddi e altezzosi, più che una bella principessa Kasia sembrava una strega cattiva. In realtà non era così brutta, ma era decisamente il tipo di donna che annoiava la maggior parte degli uomini. A detta di molti Anwar Sadat, artista fallito, l’aveva sposata solo per i suoi soldi, e con quel denaro si era potuto permettere di andare a letto con un sacco di donne; sua moglie scopriva quasi sempre le sue scappatelle, ma non le importava, a patto che non spargesse il suo seme altrove.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

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Metropoli d’Asia sulla rivista Tradurre

La nostra casa editrice è stata citata dalla rivista Tradurre all’interno di un approfondimento di Norman Gobetti sulle traduzioni e sulle lingue di partenza rispetto alle quali vengono fatte.

Si parla dell’Asia e l’articolo cerca di offrire una panoramica storica sul fenomeno dell’uso di lingue generalmente più note rispetto a traduzioni che avvengono invece direttamente dalla versione originale. Il primo fenomeno non viene necessariamente giudicato come negativo, ma si dà conto anche conto di come storicamente il passaggio da una “lingua ponte” sia considerato come qualcosa da tenere quasi nascosto.

Noi nello specifico siamo citati verso la fine dell’articolo, come esempio di casa editrice che fa della traduzione dall’originale una propria bandiera.

peretz_princess@mailxu.com hampel.trina@mailxu.com shoaffrhu denburgerjinny