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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su india

Amruta Patil su LezPop

Il sito LezPop ha dedicato un approfondimento alla storia e i personaggi di Nel cuore di Smog City, di Amruta Patil, l’unica graphic novel pubblicata da Metropoli d’Asia e solo la terza in India.

Amruta Patil, forse anche per i suoi studi americani, ha sopperito alla mancanza di tradizione di graphic novel in India in modo molto personale ed estremamente artistico. Non è, secondo me, un caso che sia anche una pittrice, perché la sua storia più che una graphic novel sembra un lungo susseguirsi di tavole e quadri intervallati da lunghe parti scritte incredibilmente poetiche. La storia è un po’ poianosa, ma per qualche motivo non risulta così triste. Tanto per cominciare la protagonista, Kari, ventunenne copywriter in un’agenzia pubblicitaria di commercio, nella prima tavola decide di saltare giù dal tetto in contemporanea alla sua compagna, Ruth, che è salita astutamente sul tetto di fronte casa sua.

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Il documentario su Nabarun Bhattacharya, raccontato su China Files

Su China Files si parla di Nabarun, del regista bengalese noto come Q, documentario su Nabarun Bhattacharya, autore con Metropoli d’Asia di Gli ammutinati di Calcutta. Il film era stato presentato lo scorso settembre a Roma, nel corso di Asiatica Film Mediale.

Nell’articolo Matteo Miavaldi, esperto di India, mette l’accento sul carattere inquieto dell’autore, sulle sue critiche alla società ritenuta troppo imborghesita nel quadro di una Calcutta undergound e turbolenta.

La vita di Nabarun Bhattacharya, morto a 66 anni per un cancro all’intestino, è stata un inno al disagio non accondiscendente, alla rabbia della strada contro i padroni, gli intellettuali, la società del consumo e la repressione della polizia, che proprio a Calcutta negli anni ’70 si abbatté con violenza contro una generazione di attivisti vicini e spesso – come lo stesso Nabarun – sovrapposti agli ideali rivoluzionari maoisti del naxalismo. Una vita passata a raccontare il proletariato e il sottoproletariato bengalese adottandone non solo lo sguardo prospettivo ma soprattutto il linguaggio crudo, diretto e sboccato, una lingua bengali «pura» contrapposta all’intellettualismo salottiero che contraddistingue l’élite colta e «di sinistra» calcuttina.

(continua a leggere su China Files)


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Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

Non mi ci volle molto a scoprire che in India è piuttosto facile vivere su un treno. Per trovare cibo e amici ci si rivolge sfacciatamente ai compagni di viaggio. Si evitano facilmente i capitreno e il personale ferroviario in genere schizzando nel gabinetto ogni volta che compaiono. E se poi ci si fa crescere barba e capelli come poi alla fi ne feci io, se si indossano vestiti sciatti e sporchi, si fi nisce con l’essere scambiati per un sadhu e si riceve l’elemosina; in questo modo si può tirare avanti senza guadagnarsi da vivere.
Il giorno successivo, da Secunderabad feci ritorno dai genitori che trovai talmente in ansia da essere inclini al perdono. Ricominciai a frequentare l’università. Ero il fi gliol prodigo, ancora immaturo. Mi ci vollero molti più anni, durante i quali ci furono diverse false partenze, tentativi di mettersi su un treno e piantare in asso i miei genitori dopo una lite, per arrivare a trovare il coraggio di rinunciare alla vita domestica e diventare un vagabondo senza meta.

Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

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Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

Si alzarono per andarsene. Yudi gli chiese dove fosse diretto. Lower Parel. Avrebbero percorso la stessa strada, allora. S’incamminarono verso la stazione di Marine Lines. Il ragazzo non era pratico della zona e si lasciò guidare da Yudi. Notò che quello strano tipo di Pandava non gli teneva più la mano.
«Dove lavori?», chiese.
Yudi avrebbe voluto che stesse zitto. Stava diventando fastidiosamente loquace.
«Faccio il giornalista… il reporter… presente?»
«Reporter? Per che giornale lavori?»
«Nessuno in particolare. Sono quello che si definisce “freelance”. Scrivo per vari giornali e riviste».
Un dubbio attraversò la mente del ragazzo. Non è che Yudi avrebbe fatto il suo nome scrivendo del loro rapporto?
«Di cosa scrivi?», domandò qualche istante dopo.
«Di tutto un po’», fu la risposta annoiata.
Ma d’un tratto il ragazzo se ne venne fuori con un’uscita tale che Yudi drizzò le orecchie, come un cane.
«Io appartengo alla classe lavoratrice, tu a quella chiacchieratrice».

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

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Da Le torri del silenzio, di Cyrus Mistry

Immerso in quei pensieri, non ho notato un uomo particolarmente magro e cadaverico, con una grossa verruca sulla fronte, seduto nella veranda in mezzo a una folla di famigliari e amici. Neppure lui mi ha visto mentre mi avvicinavo. Era semplicemente distratto, o forse troppo inebetito dalle lunghe ore di preghiera? Con una gamba incrociata sull’altra, agitava con vigore il piede puntato all’insù mentre muoveva le labbra, senza emettere suoni, concentrato su un libro di preghiere molto piccolo ma voluminoso.
Mentre gli passavo accanto, ho sfiorato con la gamba la scarpa dell’uomo che dondolava. Un incidente, è chiaro, ma quell’uomo all’apparenza così preso dalle preghiere, così dimentico di ciò che lo circondava, ha ripreso vita di colpo. È balzato in piedi con uno scatto da giocattolo a molla e ha iniziato a tremare come una foglia. Alcuni dei presenti hanno notato che stava accadendo qualcosa di straordinario. Quella figura ossuta ha cominciato a emettere ronzii sonori e insistenti, come un’ape furibonda. Mi stava dicendo qualcosa, con ogni probabilità mi insultava, protestando perché lo avevo contaminato: ma lo faceva senza parole, senza aprire le labbra che restavano sigillate.

Da Le torri del silenzio, di Cyrus Mistry

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Tre articoli di Annie Zaidi su D – la Repubblica delle donne

Annie Zaidi, autrice con Metropoli d’Asia di  I miei luoghi, ha scritto tre articoli di opinione sulla società indiana ospitati su D – la Repubblica delle donne.

Nel primo si parla di donne e controlli di sicurezza negli aeroporti e in altri luoghi sensibili, laddove sono sempre più frequenti camerini separati per le perquisizioni, che da apparente gesto di cortesia e discrezione diventa per l’autrice una forma sottile di segregazione. Nel secondo l’argomento è il proibizionismo nei confronti dell’alcool, con i suoi limiti in uno stato in cui basta passare da una provincia “sobria” (con un divieto completo di consumo) a una che non lo è, con relativo turismo alcolico per procurarselo. Il terzo articolo riguarda l’eventualità di organizzare una festa simile alla Tomatina spagnola (peraltro già abbastanza simile all’Holi), con considerazioni e riflessioni sull’opportunità di sprecare cibo in un posto, come l’India, con forti problemi di malnutrizione.


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Gli ammutinati di Calcutta su il manifesto

Su il manifesto, Matteo Malvaldi parla dell’ultimo libro pubblicato da Metropoli d’Asia, Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya, sottolineando la scelta di tradurre direttamente dal bengali (a cura di Carola Erika Lorea). Dopo vengono messi in luce alcuni aspetti della trama e dei personaggi che si muovono in una Calcutta lontana dagli stereotipi.

(clicca sull’immagine per ingrandirla)


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Nabarun Bhattacharya sul Corriere della Sera

L’ultimo libro di Metropoli d’Asia, Gli ammutinati di Calcutta di Nabarun Bhattacharya, è stato segnalato da Marco Del Corona sul Corriere della Sera, con una riflessione che parte dalla descrizione che lo stesso autore dà del libro.


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Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

I Gujjar e gli altri professionisti della classe media di Shivpuri volevano morti i Gadariya perché li temevano, eppure non potevano a denti stretti negare loro un certo rispetto, soprattutto visto che quegli uomini erano in netto contrasto con banditi come Nirbhay Gujjar, o come quelli che avevano rapito Phoolan Devi prima che anche lei diventasse una fuorilegge. I Gadariya non bevevano, trattavano le donne con riguardo e di solito erano abbastanza rispettosi delle loro vittime.
In effetti, a sentire i dacoits dell’epoca precedente l’Indipendenza, quasi tutte le bande di un tempo erano vincolate a un rigido codice etico. Raghuveer Singh Gussi, un vecchio dacoit da me conosciuto in un secondo viaggio, tempo dopo, affermava con insistenza che, pur non distribuendo direttamente le proprie ricchezze agli altri, erano pronti a dare denaro ai bisognosi che glielo chiedevano. Rubavano solo ai ricchi, e non avrebbero torto un capello a una donna neppure se fosse stata ricoperta d’oro.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Da Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya

«Nolen! Nooo-lee-n! Figlio di buona donna! Cos’è, ti sono cresciute le alghe nelle orecchie?» urlava Bhodi dal tetto.
Un gruppo di corvi mangiava scarti di riso soffiato in un angolo del terrazzo. In una vasca sgangherata stava una pianta morta di basilico sacro, con fiori marci sparsi intorno alle radici. Il terrazzo spoglio era coperto di muschio. Nelle fessure tra i mattoni strisciavano lumachine tonde tonde. Stava spuntando anche un giovane albero di baniano. Sul terrazzo c’era, come sempre, una stuoia unta, dai bordi sfilacciati, con sopra una vecchia scatola di latta arrugginita piena di cotone, una lente d’ingrandimento dei tempi di Matusalemme, pezzi di vetro rosso e blu, e una copia dell’«Anondobajar» che cercava costantemente di volare via benché fosse tenuta ferma dal peso di un mattone. Bhodi si avvicinò a un angolo del terrazzo spoglio per guardare in basso, verso il cortile. Nolen coglieva dei fiori di gelsomino e li metteva su un vassoio di bronzo.
«Stavo gridando come un’aquila per chiamarti, disgraziato! Non ti funzionano le orecchie?»
«Ah, non ho sentito. Devo andare?»
«Vai vai, quando ti accendo un cerino in bocca sulla pira funebre allora puoi andare. Bechamoni dov’è?»
«La signora è al gabinetto».
«Quando ha finito dille che faccia il bagno in fretta e mi porti subito il mazzo con tutte le chiavi. Quante stanze sono occupate?»
«Due. La numero uno e la tre».
«Arriverà altra gente. Fatti la doccia anche tu, insaponati e scrostati per bene, poi va’ a prendere l’acqua nel Gange».
«Come mai così presto?»
«Fa’ quel che ho detto, idiota! Oggi verrà aperta la stanza dei dischi! Oh Madre! Madre santa!»

Gli ammutinati di CalcuttaNabarun Bhattacharya

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