Appunto: è una parola che ricorre nei miei post. Un invito a rimarcare ciò che già ho scritto, quindi a ritornarci sopra, scrivendo come fosse punto a croce, con l’ago che torna a raccogliere il nodo già serrato e lo riaggancia più avanti, un passo oltre.
Provo a interpretarmi: quel che sto facendo è riprendere, dall’Asia, un percorso già iniziato (riannodo fili, è chiaro). Da qui raccolgo suggestioni, temi, frammenti di un mondo che descrivo e commento per quel che è: un mondo altro e distante (nuovo? parola oggi orrenda). Ma tra le righe ci leggo un riverbero della realtà mia, nostra: e allora lego e confronto, per procedere ancora (e non lo faccio solo scrivendo, ma anche scegliendo un romanzo da tradurre e pubblicare più che un altro).
E in quel che vedo non trovo un Altro a noi opposto (dove noi siamo Ricchi l’Asia è Povera, dove noi siamo Materialisti, loro sono Lo Spirito, dove noi siamo in Recessione, loro sono in Crescita), ma al contrario: ritrovo gli stessi interrogativi nostri, i nostri temi riproposti. Ma quali, dunque? Proviamo.
Gli scrittori e il mondo che hanno attorno. Il loro, di mondo. Le motivazioni, le ragioni dello scrivere. Che stanno dentro a esperienze individuali, ma anche dentro a una precisa connotazione sociale: i narratori asiatici non sono miliardari né senza casta né contadini espropriati né operai ridislocati. Sono professionisti, tutta gente che non vive al piano terra o nei seminterrati, ma su in alto, appartamenti con vista. Chirurghi, avvocati, scriptwriter, giornalisti, accademici, pubblicitari, videomakers. O figli e figlie: di manager, industriali, avvocati e chirurghi ancora.
Una certa aria nostra da secondo dopoguerra: dove da noi era ricostruzione e boom economico, qui è costruzione tout-court, e boom economico. Con tutto quel che si porta dietro: trasformazioni sociali, contrapposizioni e intersezioni tra ceti sociali diversi. Tra la ricchezza e la povertà: un baratro. Chiedendosi sempre, lo scrittore che sta in lassù, cosa succede in basso, e la società in generale, i media e i cosiddetti opinion leader, cosa sia giusto o sbagliato fare.
Consumi, ceto medio (ocio però: qui si dice middle class e si intende davvero chi sta in mezzo. Da noi si usa ceto medio per descrivere quasi tutto). Irreggimentazione dei comportamenti, frustrazione conseguente. Noia, forse, e al contrario una sottile sensazione di panico incombente (bellissima, ‘sta cosa, come ho già detto: Ballardiana).
Le donne: un ruolo nuovo, affrancate non tanto dai fornelli quanto piuttosto scaraventate in una modernità fatta di corsi di basket e nuoto per i figli, e di eterna rincorsa allo status. Da un lato, donne capaci di mettere in discussione la norma, l’abitudine consolidata, e di spingere in avanti il mondo. Dall’altro, donne come primo veicolo di consumismo, informazione come gossip, dittatura dell’emozione sul raziocinio.
Relazioni tra gli individui: estraneità e cattiveria, una buona dose di disperazione, ricerca a tutti costi di un pezzo di piacere, e a tutti costi vuol dire che lo si paga caro. Balle a gogò su sex and drugs and rock and roll, qualche verità omosessuale. Un bel tocco di solitudine.
E i lettori: narcisismo e paura del mondo. Qui i bestseller sono i cosiddetti self-help books, che ti insegnano a difenderti dal capo, a non essere timido, a utilizzare a pieno regime le tue risorse intellettuali e fisiche, a coltivare l’aggressività e la leadership! E poi tutti i romanzi che parlano del noi: noi quando eravamo all’università, noi giovani ribelli, noi famiglia in ascesa. Un io plurale ipertrofico, fin sgargiante.