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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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    • Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra
    • E adesso? su Bnews (Università Bicocca)
    • Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan
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Tutti i post su libri

Da I miei luoghi, di Annie Zaidi

Il viaggio non mi risollevò granché il morale, peraltro. Seduta sul pullman che portava da Gwalior a Shivpuri, lessi l’avvertenza scritta con la vernice sullo schienale del sedile dell’autista: «Si prega di non portare armi cariche sul pullman». Benvenuti nel Chambal. Una regione in cui ci sono più armerie che alimentari. Una città di dimensioni ridotte come Bhind1, conta almeno ottanta rivendite d’armi: le munizioni abbondano e non costano quasi niente, e chi è dotato di un’arma non si fa certo problemi a sprecarne. (Tra l’altro, questa è la regione i cui amministratori locali a un certo punto hanno escogitato la brillante idea di regalare fucili e pistole, a mo’ d’incentivo per gli uomini che si presentavano per le «procedure di pianifi cazione familiare»: un modo per permettergli di sentirsi ancora virili.) Ecco spiegate le cortesi avvertenze sui mezzi pubblici: probabilmente autisti e controllori si erano rassegnati al fatto che la gente, le armi, se le sarebbe portate dietro comunque. Avevano solo esposto educatamente quelle poche righe per chiedere almeno di tenerle scariche.

Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi

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Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

Da circa due decenni la vita di Marisa suscitava l’ammirazione e la benevola invidia di un’intera generazione di donne thai, perché era una favola divenuta realtà. Le sue fan conoscevano la leggenda a memoria. Originaria di un’umile famiglia di Saraburi, a sedici anni era stata scoperta da un agente che un pomeriggio, casualmente, l’aveva vista aiutare la madre al suo banchetto di zuppe. La bellezza e il portamento di Marisa l’avevano colpito al punto che, tornato nella capitale, aveva persuaso uno studio di produzione a occuparsi di lei e a pagarle lezioni di canto e recitazione. Quella fiducia fu ricompensata quando, meno di un anno dopo, ottenne la sua prima parte in un musical romantico chiamato Dignità e passione e rubò la scena alla protagonista. Prima di compiere venticinque anni, Marisa aveva già girato diversi film ed era una delle star più famose della Thailandia. Il suo volto sorridente appariva sulle copertine delle riviste e sui cartelloni pubblicitari di tutto il Paese. La sua pelle chiara, i lineamenti affilati che suggerivano un sangue misto, l’onda morbida dei capelli corvini, i denti scintillanti, gli occhi sorridenti e la figura perfettamente proporzionata diventarono il parametro di bellezza con cui tutte dovevano misurarsi. La sua era la storia di un successo nazionale. Per i dieci anni successivi le offerte piovvero. Appariva ovunque: film di kung-fu, storie d’amore, telenovele. Se una produzione straniera girava un film in Thailandia e aveva bisogno di una bellezza locale, di solito sceglieva lei. Si disse che l’unico motivo per cui non aveva mai raggiunto la fama internazionale fosse la sua paura di volare, che le impedì di viaggiare fuori dalla Thailandia. La fama che aveva nel suo Paese, tuttavia, era più che sufficiente. Quando il suo nome era legato a un progetto, il successo di pubblico era garantito.

Da Il viaggio del Naga, di Tew Bunnag

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Oggetti smarriti su Il Fatto Quotidiano

Sul blog di Lorenzo Mazzoni, ospitato da Il Fatto Quotidiano, si è parlato di Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun. Partendo dalla trama, l’autore si sofferma soprattutto sulle caratteristiche dei personaggi e sullo scenario nel quale si muovono.

Un romanzo pirotecnico, una girandola di colpi di scena, un gigantesco gioco d’azzardo dove nessuno è quello che sembra e nel quale tutti i personaggi coinvolti non fanno altro che cercare di depistare gli altri per qualche tornaconto personale. Si tratta di Oggetti Smarriti, dello scrittore cinese Liu Zhenyun (pubblicato in Italia da Metropoli d’Asia, tradotto da Patrizia Liberati), un romanzo intriso di un sarcasmo feroce, dove i contrasti tra la grande metropoli, Pechino, e i suoi nuovi abitanti, gli emigrati delle zone rurali con il loro bagaglio di cultura antica, risultano uno scoglio gigantesco per la ricerca di una soluzione finale.

(continua a leggere sul blog di Lorenzo Mazzoni)

Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

Mi risveglio che è sera, apro la minuscola finestra ed entra una brezza leggera. Mi soffermo a guardare fuori: è un paesino anonimo con tetti di tegole grigie, la strada è fatta di negozietti con brutte insegne e un viavai di camionisti in cerca di un posto per mangiare. Davanti all’albergo si ferma un camion vuoto; accanto c’è un bambino che gioca con la palla. Un treno corre lungo la ferrovia, che sarà a cento metri da qui, conto i vagoni: ventitré. Contare i vagoni è un gran bel passatempo; l’unica pecca è che non c’è modo di fare la verifica. Ma che importa, almeno si trascorre il dannato tempo totalmente concentrati, senza pensieri. Anche il bambino di sotto li ha contati. Dopo l’ultimo si gira verso il padre per dirgli: «Papà, erano ventiquattro».
L’uomo non gli dà retta, intento com’è ad aiutare il camion nelle manovre.

Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han

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Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

Con prontezza sorprendente il poliziotto sfilò dalla tasca un pacchetto e glielo porse. Sigarette al mentolo: chi avrebbe pensato che un tipo come lui potesse fumarne? Mari ne prese due e gli rivolse un sorriso, come in attesa di un suo consenso: il poliziotto apparentemente non sembrava contrariato. Gli restituì il pacchetto, e lui commentò divertito: «Si vede che anche lei gradisce quelle al mentolo…».
Mentre lo ringraziava, il poliziotto le avvicinò l’accendino. Mari rifiutò con garbo e tornò ad accomodarsi in macchina. Accese la sigaretta e fece un tiro. Se il braccio sinistro non le avesse dato problemi, avrebbe potuto tranquillamente godersela mentre guidava, ma quel giorno purtroppo non le era possibile. Il suo cervello reagì alla nicotina ancora prima che potesse arrivare ai polmoni, mentre a pochi passi il poliziotto e il conducente della jeep fissavano, attraverso il parabrezza, il piccolo bagliore della sua sigaretta. Il fumo usciva a lunghi sbuffi dal tettuccio apribile dell’auto, come dalla ciminiera di un forno crematorio. Subito dopo tornò a pensare alle sue prime volte. Quand’era stata, per esempio, la prima volta che aveva saputo che le persone muoiono? Quasi subito, come se quel ricordo fosse già pronto nella sua testa in attesa da chissà quanto tempo che qualcuno formulasse la domanda giusta, le balenò nella mente un episodio del suo passato.

Da L’impero delle luci, di Kim Young-ha

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Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

A quell’ora si incontravano lì anche Sixian e Ningfang; mangiavano un piatto di spaghetti di riso saltati o qualche focaccina indiana, bevevano una tazza di caffè e poi facevano una passeggiata fino all’atelier. In quel momento erano seduti uno davanti all’altra a un tavolino all’aperto e mangiavano in silenzio la colazione che avevano di fronte. Intorno c’era un gran fermento, come una pentola di zuppa che bolle sul fuoco, loro invece erano silenziosi come i protagonisti di un film muto, non sembravano far rumore neppure le loro bocche che masticavano.
Di solito non era così. Anche se si vedevano almeno due volte alla settimana avevano sempre molte cose da dirsi, ma poiché la sera prima avevano fatto una brutta litigata, quel giorno si comportavano come estranei. Sixian aveva addirittura temuto che quella mattina Ningfang non lo raggiungesse, invece era arrivata come al solito; però non avevano detto una parola, se non per ordinare la colazione al cameriere. I loro sguardi si incrociavano di rado per rivolgersi invece a un grande albero di casuarina intorno al quale giocava chiassoso un gruppo di bambini.

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

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Un estratto di E adesso? letto su Radio Gazzarra

La trasmissione Libro su libro di Radio Gazzarra si è dedicata a E adesso?, l’ultimo romanzo di Metropoli d’Asia dell’autore A Yi, leggendone un estratto.

Le due parti in cui si parla del libro iniziano al minuto 51:45, e si possono ascoltare da qui.


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Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

Al cantiere sapevano tutti che Liu Yuejin era un furfante. I borseggiatori agiscono per strada, i ladri nelle case, mentre il suo territorio era il cantiere. Lui però non prendeva rotoli di vergella, cavi elettrici o giunti per i ponteggi, faceva il cuoco e quindi rubava in mensa. Non proprio all’interno della mensa, bensì al mercato. Ogni giorno si alzava di buon’ora per andare a fare la spesa. Erba cipollina, rape, cavoli, patate, carne e cipolle avevano i prezzi esposti ma, in un cantiere di centinaia di persone, si compravano quantità enormi e si poteva trattare sulle cifre. Cinque centesimi per mezzo chilo, quando si tratta di decine di chili diventano qualche yuan e, se uno compra sempre dallo stesso banco, può ricavarci anche qualcosa in più. Poi c’era la carne: filetto, pancetta o capocollo hanno prezzi diversi. Nel cantiere si diceva che a tutti gli operai era venuto il collo taurino a forza di mangiare i tagli scadenti rifilati da Liu Yuejin. Per dare del ladro a uno, tuttavia, bisogna prenderlo in flagrante: lui non si faceva beccare, quindi non era un ladro. Erano tutti furiosi non a causa dei furti, ma perché non riuscivano a coglierlo sul fatto. Il capomastro Ren Baoliang diceva: «Pensavo che i furfanti fossero quelli che riesci ad acchiappare, invece il più furfante di tutti è quello che riesce a farla franca».

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

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A Yi sul Beijing Youth Journal

Il Beijing Youth Journal ha parlato di A Yi e del suo recente tour in Italia per presentare E adesso?, l’ultimo romanzo pubblicato da Metropoli d’Asia, mostrando anche la copertina italiana.

 


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Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

Avevo iniziato a seguire, presso un centro culturale, un corso tenuto da un poeta mio coetaneo, il quale alla prima lezione aveva esordito con un tono solenne e un’affermazione che mi parve ridicola: «Il poeta è come un killer provetto: cattura il linguaggio e alla fine lo ammazza». All’epoca avevo già “catturato e ammazzato” decine di prede e di loro non era rimasto altro che polvere. Mai una volta però mi era passato per la mente di aver “fatto poesia”. Un omicidio ha più attinenza con la prosa. Chi l’ha sperimentato lo sa. Uccidere qualcuno è quanto di più improbo e prosaico si possa immaginare. Comunque non posso negare che, se ho cominciato a interessarmi di poesia, è stato grazie a quell’uomo. Aveva il merito di possedere il senso dell’umorismo, l’unica cosa che mi fa abbassare le armi.

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

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