• Chi siamo

    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
  • Libri

  • Parlano di noi

    • Da Il giardino delle delizie terrene, di Indrajit Hazra
    • E adesso? su Bnews (Università Bicocca)
    • Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan
    • A Yi e Chan Ho Kei su Alias
  • Autori

Tutti i post su libri

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

Il maestro si mise davanti al cavalletto di un’altra allieva, Ningfang, e iniziò a parlare con lei. Mentre chiacchierava con lui, Ningfang lanciò distrattamente un’occhiata verso Sixian che dipingeva nell’altro angolo, e si accorse che la stava fissando imbambolato. Incrociò il suo sguardo e lo ricambiò con un sorriso caloroso. A cosa stava pensando Sixian?
Nell’atelier c’erano sette persone: oltre a Jianxiong, al maestro e ai suoi tre allievi Sulan, Ningfang e Sixian, c’erano Zhang Wenzhong e un giovane che lo accompagnava. Si diceva che fosse un poeta appassionato anche di pittura, il quale faceva spesso copie a matita delle fotografie di scrittori uscite su libri e riviste e le pubblicava poi sui quotidiani. Aveva un atteggiamento un po’ arrogante, era la prima volta che faceva un ritratto dal vero e si aspettava di vedere una donna nuda; invece gli era toccato un ragazzetto ed era un po’ deluso. Ritrarre dal vero e copiare una fotografia però sono due cose ben diverse: il giovane poeta non aveva esperienza, dipingeva con grande energia continuando a correggere i contorni della figura ma, per quanto facesse, le proporzioni continuavano a essere sbagliate, la parte superiore continuava a essere troppo lunga e quella inferiore troppo corta. Il maestro, guardando il suo disegno, gli diede dei suggerimenti, ma il giovane si irritò: «Un dipinto non deve per forza essere somigliante. Se dipingere significasse copiare pedestremente la realtà, tanto varrebbe limitarsi a fotografare». Il maestro si accorse che il giovane era seccato e non disse più nulla.

Da L’atelier, di Yeng Pway Ngon

Acquista qui il libro

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Non era un segreto. Tutti nel kampong sapevano che Margio rubava spesso i polli di suo padre, non perché ne avesse bisogno, ma piuttosto perché era arrabbiato con lui. «Non so cosa sia saltato in mente a quel ragazzo per azzannare il collo di una persona» replicò il Maggiore Sadrah.
La persona in questione, Anwar Sadat, in quel momento giaceva immobile sotto un batik marrone, sul pavimento del suo salotto, che era pieno di luce ma tetro per il dolore insostenibile e i singhiozzi intermittenti delle donne in lacrime. La stoffa, intrisa di rosso, seguiva i contorni del cadavere, mentre il sangue continuava a scorrere sul pavimento. Scuro e grumoso. Nessuno osava tirare la tenda che divideva il mondo dei vivi da quello del morto, perché erano consci della carne lacerata e della ferita aperta che rendevano il cadavere più macabro di qualsiasi spettro. Il semplice pensiero li disgustava.
Due poliziotti arrivarono a bordo di un’autopattuglia il cui lampeggiante rosso continuava a roteare, anche se la sirena era spenta. Si bloccarono entrambi sulla soglia, non sapendo bene che fare. La moglie della vittima aveva rifiutato qualsiasi esame del cadavere. Era giusto, visto che tutti sapevano come era deceduto quell’uomo e chi era responsabile della sua morte. Anwar Sadat non aveva bisogno di un’autopsia, e le uniche cose che gli sarebbero state garantite erano il lavaggio rituale, il riempimento della ferita con batuffoli di cotone, le preghiere e una sepoltura immediata.

Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan

Acquista qui il libro

Acquista qui l’ebook

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

Aveva impugnato il mattarello e giù botte da orbi a Ren Baoliang. Liu Yuejin osservava quel poveraccio che si proteggeva la testa con le braccia e le prendeva senza fiatare, continuando a masticare, quando a un certo punto non ce la fece più e andò a bloccare Niu Decao: «Basta, zio, dai, in fondo è solo un pollo arrosto. Anche se continui a dargliele, non è che te lo sputa indietro».
Ren Baoliang scoppiò a piangere: «Non è per il pollo, è che sono dentro da più di due anni e non mi è mai venuto a trovare nessuno».
Quando Ren Baoliang uscì dopo aver scontato la pena, per prima cosa andò al Villaggio dei Liu a trovare Liu Yuejin e gli portò dieci polli spennati, sventrati e puliti. Trascorsi cinque anni, era diventato capomastro in un cantiere di Pechino. In quel periodo non si erano visti, ma avevano continuato a scriversi. Dopo altri cinque anni, Liu Yuejin aveva divorziato e se n’era andato da Luoshui per la rabbia. Quindi aveva cercato Ren Baoliang, che lo aveva preso a fare il cuoco nel cantiere. Se non fosse stato un suo sottoposto, sarebbero rimasti amici, ma dove c’è gerarchia non può esserci amicizia. O meglio, Ren Baoliang poteva dire di essere amico di Liu Yuejin, ma Liu Yuejing non poteva trattare Ren Baoliang come tale. Oppure potevano anche comportarsi da amici in privato, ma in pubblico tornava in ballo la gerarchia. Liu Yuejin lo aveva capito: quando erano soli lo chiamava Baoliang, se c’era qualcun altro cambiava musica e lo chiamava direttore Ren.

Da Oggetti smarriti, di Liu Zhenyun

Acquista qui il libro

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

Ho fatto una risonanza. Mi sono steso su un lettino – una sorta di bara bianca – e sono stato inghiottito dalla luce. Mi è sembrata un’esperienza ai confini della morte. Ho immaginato di librarmi nell’aria e di osservare il mio corpo dall’alto. La morte gli era proprio a fianco. Ormai era chiaro. Non mi restava molto da vivere.
Dopo una settimana mi sono sottoposto a un test sulle capacità cognitive e su qualcos’altro che non ho capito bene. Il medico mi ha posto dei quesiti a cui dovevo rispondere. Le domande erano semplici, eppure non trovavo le risposte. Mi sentivo come quando infili le mani in una vasca piena di pesci e, appena cerchi di tirarne fuori uno, quello ti sguscia tra le dita. «Chi è l’attuale Presidente della Repubblica? E in che anno siamo? Provi a ripetere tre delle parole che ha appena ascoltato. Quanto fa diciassette più cinque?» Avevo tutte le risposte sulla punta della lingua, ma non riuscivo a pronunciarne nessuna. Lo sapevo eppure non lo sapevo: Dio mio, com’era possibile?
Alla fine degli esami ho incontrato il dottore. Aveva un’espressione tutt’altro che radiosa.
«L’ippocampo si è atrofizzato», ha affermato leggendo il referto della mia risonanza. «Non ci sono dubbi: lei è affetto da Alzheimer. Non sappiamo a che stadio, però. Per capirlo dovremo tenerla sotto osservazione».
Ŭnhŭi, che mi era seduta accanto, è sprofondata in un silenzio di tomba.
«I suoi ricordi scompariranno un po’ alla volta», ha aggiunto il dottore. «Questo fenomeno riguarderà prima la memoria a breve termine e i ricordi recenti. Possiamo sempre cercare di ritardare questo processo, ma non saremo in grado di interromperlo. Per il momento la prego di prendere con regolarità le medicine che le prescrivo. Poi tenga un diario di tutto ciò che le accade e lo porti sempre con sé. Sa, è probabile che in futuro non sarà nemmeno più in grado di tornare a casa da solo».

Da Memorie di un assassino, di Kim Young-ha

Acquista qui il libro

Gli ammutinati di Calcutta segnalato su Internazionale

L’ultimo libro di Metropoli d’Asia, Gli ammutinati di Calcutta, di Nabarun Bhattacharya, ha ricevuto una segnalazione nella rubrica Libri di Internazionale.

 


Acquista qui il libro

Da La Cina sono io, di Xiaolu Guo

È mezzanotte passata; Londra irradia film drammatici televisivi e ululati di sirene nel panorama sonoro della tarda notte. La strade sono sature di ombre e luci. Sopra Chapel Market c’è un appartamento ancora illuminato. Iona è immersa in un mare di carta. Ha aggiunto alla pila sulla scrivania altri due dizionari e un libro sui dialetti del Nord della Cina. Mentre sta smistando i fogli, cercando di dar loro un senso, trova una lettera senza data.
A un primo colpo d’occhio pensa che sia una lettera degli anni Novanta, ma il tono è arrabbiato e ferito come nelle prime lettere che Jian sembra aver mandato a Mu dopo aver lasciato la Cina nel 2011. Sta lavorando su queste traduzioni da alcune settimane e non è ancora riuscita a dare un senso alla storia. Che cosa è andato storto nel loro rapporto? Sembravano così felici, così pieni di promesse ed entusiasmo. Ci sono indizi e allusioni a un manifesto che ha cambiato tutto, ma non dispone di alcuna informazione del contesto e le sue ricerche su internet si rivelano inutili.
Guarda ancora la lettera – il tono è piuttosto veemente. Iona si chiede se sia mai stata spedita. Nessun indirizzo, nessun sentimentalismo, solo franchezza.

Da La Cina sono io, di Xiaolu Guo

Acquista qui il libro

Acquista qui l’ebook

Da 20 frammenti di gioventù vorace, di Xiaolu Guo

Quando ho lasciato il mio villaggio, è stato come aver fatto un passo con il piede destro e aver impiegato quattro anni per farlo raggiungere dal sinistro. Durante quei quattro anni sono stata una specie di sedia di riserva abbandonata nell’angolo buio di un magazzino. Il mio primo lavoro a Pechino è stato come inserviente in un albergo chiamato Ostello del popolo. Non ero autorizzata a pulire le stanze, soltanto i corridoi e i cessi, ma se non altro potevo dividere una camera da letto con altre quattro inservienti. Sono rimasta lì per circa un anno, ma alla fine ho mollato. Poi ho lavorato in una fabbrica statale di giocattoli che produceva pistole di plastica e aeroplanini. Eravamo grosso modo cinquemila operaie, non sopportavo il rumore e la puzza del dormitorio e perciò ho lasciato anche quel lavoro. Da allora, ho praticamente vagato da un lavoro all’altro. Ho trascorso qualche mese in una fabbrica di lattine monitorando le macchine di assemblaggio, quando a un certo punto sono approdata in un vecchio cinema fatiscente chia-mato I Giovani Pionieri. A dispetto del nome, non proiettava pellicole in stile giovani pionieri ma soltanto film hongkonghesi di arti marziali. Monaci che se le danno e cose del gene-re. Dopo ogni proiezione dovevo spazzare scorze di canna da zucchero, ali di pollo smangiucchiate, gusci di arachidi, bucce di melone e altra merda che la gente si lasciava dietro – a volte perfino rane fritte.
Quel lavoro però non mi dispiaceva. Dormivo su un di-vano sgangherato nella sala proiezioni e guardavo film tutto il giorno. Inoltre, potevo tenermi le cose dimenticate dagli spettatori sotto i sedili. Una volta ho trovato un dizionario di inglese. È stata una scoperta elettrizzante. C’era quel famoso liceale di Shanghai che era stato ammesso a Harvard dopo aver imparato a memoria l’intero dizionario di inglese. Non riuscivo a farmi venire in mente il nome, ma era diventato il nostro eroe nazionale. Immaginavo che avrei potuto fare come lui – che quel dizionario dimenticato sarebbe potuto diventare un passaporto per il mondo anche per me. Ad ogni modo, ho incominciato a studiare le parole. Non era difficilissimo, ma dopo un po’ mi sono stufata e ho smesso. Comunque, riuscivo a dire qualche parola agli stranieri che venivano al cinema. E pensavo che vivere in un cinema fosse una figata. Spendevo tutti i miei risparmi per comprare riviste di film e andavo in altri cinema per vedere le ultime novità.

Da 20 frammenti di gioventù vorace, di Xialu Guo

Acquista qui il libro

Acquista qui l’ebook

Da Le ceneri di Bombay, di Cyrus Mistry

A Jingo sfuggivano le date esatte, ma gli avvenimenti descritti dalla donna risalivano ad almeno dieci anni prima della sua nascita. Nel porto era esplosa una nave inglese carica di dinamite. Oltre a varie merci, tra cui barili di petrolio e balle di cotone, l’imbarcazione trasportava anche un grosso quantitativo d’oro. I lingotti erano volati lontano, in mezzo all’aria colma di fumo nero, anche se la maggior parte, a quanto si diceva, si era fusa ed era finita in fondo al mare. Molti tra pompieri e passanti avevano perso la vita nella grande esplosione o erano stati dati per dispersi. Decine di corpi non erano mai stati ritrovati. Jingo l’aveva letto di recente su una rivista, in un articolo che commemorava – che cos’era? – forse il quarantacinquesimo anniversario di quello scoppio?
«Ho smesso di accendere il cero, ho smesso di pregare che tornasse. Non m’importava più se era vivo o morto. Ma quando se n’è andato, è successo qualcosa di più tremendo, molto di più… e di questo do la colpa a lui…».
D’improvviso Jilla Gorimar strizzò gli occhi e scivolò giù dal letto con un dito sulle labbra, per intimare a Jingo di fare silenzio. «Shhh. Eccolo… eccolo lì… lo vedi? Tieni, prendi questa». Gli diede la scarpina rossa da bambino che era sul tavolo e sussurrò: «Schiaccialo!». Indicò un topo grigio e corpulento che attraversava la stanza come se niente fosse. Non appena Jingo si mosse per prendere la scarpa, la bestia scomparve in un lampo, nascondendosi dietro i mobili.
«È sparito», disse Jingo con disappunto simulato, mentre in realtà provava un certo sollievo.
«Ah, fa niente. Ce ne sono a centinaia. Anche più grossi. Vanno e vengono».

Da Le ceneri di Bombay, di Cyrus Mistry

Acquista qui il libro

Acquista qui l’ebook

Da dollari la mia passione, di Zhu Wen

«Visto che non abbiamo ancora deciso, perché cammini così in fretta?»
«Perché anche andare a zonzo così è un piacere. Ma adesso dimmi, dove si va?».
Non lo so nemmeno io dove convenga andare. Trascino mio padre a un chiosco di bibite e compro due lattine di Coca in due bicchieri di carta. Illuminata dal sole, la sua faccia è il ritratto della salute, sembra sprizzare radiosità da tutti i pori. È un po’ sudato, i capelli appiccicaticci hanno perso la fluente eleganza di prima. E se adesso cominciasse a scendergli un rivoletto nero sulla fronte? Oddio, fa’ che non succeda, per favore! La mamma ti ha detto di comprarle qualcosa?, gli chiedo. No, non sa neppure che sono venuto qui, risponde lui. Allora sei libero come me? Certo, siamo un uomo in compagnia di un altro uomo, che cosa facciamo? Ovvio che dovremmo fare cose da uomini. Ma è pomeriggio, il sole è ancora alto nel cielo. E che importa? Con due soldi in tasca la notte può anche arrivare in anticipo. Ci accovacciamo sul gradino del marciapiede con i nostri due bicchieri di Coca in mano. Continuiamo ad alzare la testa e a guardarci senza parlare, in un tacito dialogo ininterrotto. Dovrei sapere di che cosa ha bisogno mio padre, questo ci si aspetta da un figlio che sia un figlio. Se in futuro mi trovassi anch’io ad avere un momento di libertà e infischiandomene del ruolo conferitomi dall’età facessi una capatina da mio figlio, preferirei che avesse una qualche idea su come procurare attimi di piacere al suo provato padre, non che se ne stesse lì a mostrarmi rispetto formale come un idiota. Dammi retta, figliolo, il rispetto è una cosa troppo astratta. Invece dobbiamo imitare il romanticismo del dollaro americano, la forza dello yen giapponese, l’equilibrato ottimismo del franco svizzero: sono questi i valori veri, concreti, che dovremmo imparare.

Da Dollari la mia passione, di Zhu Wen

Acquista qui il libro

Acquista qui l’ebook

Da Le donne di Saman, di Ayu Utami

Dopo aver mangiato ognuno di loro tornò al proprio lavoro. Laila andò in giro alla ricerca di angolazioni particolari per uno scatto perfetto o comunque capace di rendere la durezza del lavoro sull’impianto. Ma non poteva impedire ai suoi occhi di muoversi spasmodicamente per cercare Sihar. Lo individuarono al lavoro di fronte a un container. Non era solo, era insieme al suo apprendista. Stavano tentando di equilibrare la pressione altalenante dei cavi di ferro che andavano dalla finestrella del container fino al pozzo di estrazione.
Sopra la piattaforma gli operai, con indosso tute infangate ed elmetti di protezione tutti uguali, andavano avanti e indietro, come se l’impianto fosse un palcoscenico e loro fossero parte della rappresentazione. Laila li fotografò al lavoro.
«Queste foto non sono per le campagne di solidarietà per i lavoratori, vero?», le si rivolse Rosano con quel suo modo di fare: cordiale, dolce e insieme arrogante. Solo in seguito, Laila sarebbe venuta a sapere da Sihar che Rosano era figlio di un pezzo grosso del ministero delle Risorse Minerarie ed Energetiche. «La Texcoil gli ha pagato gli studi in America e gli ha dato questo lavoro a condizione che suo padre appianasse la concessione degli impianti petroliferi a Natuna», le spiegò Sihar. Ma Laila non sapeva se le raccontasse tutte quelle cose solo per schernire Rosano. Non riusciva più a essere obiettiva. E tutto sommato la cosa non le importava più di tanto.

Da Le donne di Saman, di Ayu Utami

Acquista qui il libro

denburger_georgina@mailxu.com kinnonsigrid@mailxu.com lucken.rhu@mailxu.com twersky.leticia@mailxu.com dust_331@mailxu.com