Rambabu era a capo della banda dei Gadariya insieme al fratello Dayaram. Il resto dell’organizzazione comprendeva cugini o «fratelli di casta», a parte un paio di componenti provenienti dalle tribù delle foreste dei dintorni. Una banda leggendaria, non solo per alcuni audaci sequestri messi a segno o per i modi sensazionali con cui aveva giustiziato i suoi nemici. Nei posti giusti quei banditi erano anche capaci di comportarsi da Robin Hood; e mai, durante le loro scorrerie, torcevano un capello alle donne. In effetti, è stata una delle prime cose che sono venuta a sapere a proposito della banda: le donne non le toccavano nemmeno. Se capitava loro di incontrarne una, la chiamavano «sorella» e le consegnavano un dono simbolico, una piccola somma di denaro.
Questo atteggiamento aveva fatto guadagnare alla banda uno stuolo di accesi sostenitori. Non c’è donna del Chambal che in cuor suo riesca a condannare Rambabu e Dayaram senza accompagnare la condanna a un moto di pietà, o forse a un’emozione che va al di là di questa (a esclusione, ovviamente, di quelle a cui è stato ucciso il marito o il fi glio). Una delle attiviste sociali della zona, che in seguito arrivai a conoscere abbastanza bene perché si fi dasse di me, diceva spesso con sguardo sognante di voler conoscere Rambabu, perché era convinta che non potesse essere poi così cattivo.
Da I miei luoghi. A spasso con i banditi e altre storie vere, di Annie Zaidi