Alla fine l’atmosfera si stempera. Tra lo scompiglio di quelli che, a quanto pare, stanno raccogliendo delle prove, sento un urlo: è il cameraman. Guarda tutti con imbarazzo, poi si scusa: nelle riprese girate poco prima ha dimenticato di aprire l’obbiettivo della telecamera, quindi ha registrato solo il sonoro. «Secondo voi andrà bene lo stesso?»
Uno del gruppo gli si avvicina contrariato, scambia qualche parola con lui sottovoce e poi si rivolge a me, dicendomi che hanno avuto un contrattempo con la raccolta delle prove e quindi rientreranno da capo; io devo rimanere fermo nella posizione in cui mi trovo. «E quello che avevi in mano? La roba che avevi in mano poco fa? Ecco qui, tieni le mutande e resta immobile così».
«Con lei come fate, che è già ammanettata?», chiedo indicando Shanshan.
Lui rimugina, poi suggerisce: «Lasciamola così, non mi fido, non si sa mai che scappi e via dicendo, le donne non sono buone a niente. Rimane com’è, ammanettata alla lampada».
Io replico, esasperato: «Non vorrete farmi passare per sadomasochista, l’avete incatenata voi, non io!»
Lui mi da un calcio: «Parli troppo».
Finalmente sgomberano la stanza ma la serratura non tiene e la porta resta aperta, il cameraman tira fuori un fazzoletto e lo sistema nell’interstizio per bloccarla. Alla fine si chiude.
Da Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han
Posted by Metropoli d'Asia on ottobre 2, 2016
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