«Il mio Keko, mio marito, non era un uomo qualunque. Non possedeva niente, tranne i suoi sogni e i suoi gusti ricercati. Tasche vuote, ma si dava un sacco di arie…
«Era pappa e ciccia con i soldati inglesi. Andava a bere con loro nei bar dove i civili non erano ammessi, andava in giro sulle jeep dell’esercito. Entrava negli spacci e prendeva tutte le cose da mangiare che voleva. A quell’epoca funzionava così. Durante la guerra, chi la usava la roba indiana? Solo cose straniere, di ogni tipo. No, la roba fatta in India non si usava proprio». Restituì a Jingo l’elenco di prodotti per la ricerca di mercato senza quasi degnarlo di uno sguardo.
Per un istante Jingo si chiese se protestare e insistere per avere una risposta alle domande per cui veniva pagato. Ma la dolcezza, che già pregustava, di un pomeriggio di pioggia sprecato in quel modo lo rendeva docile e gentile, recalcitrante a darsi troppo da fare.
«Ma era un bell’uomo, il mio Keko… Davvero! Alto, elegante. Non ci si stancava di guardarlo. Diceva…», e lo citò con tono drammatico: «Sono un’anima nata nel corpo sbagliato. Sarei dovuto nascere figlio di maharajah. Oppure dovevo essere Errol Flynn. Anzi, Errol avrebbe potuto farmi da controfigura». Jingo udì una curiosa risatina soffocata. «Era fatto così. Poteva avere tutte le donne che voleva. Ma aveva scelto me…
Da Le ceneri di Bombay, di Cyrus Mistry