Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e, dopo averlo arrotolato in una bella striscia rettangolare, lo portò agli occhi del ragazzo.
«Che fai?», sbottò lui.
«Ti bendo», rispose tranquillo Yudi. «È giusto una precauzione. Lo faccio sempre con i miei partner. Perché non sappiano in che palazzo abito. E se poi tornano il giorno dopo per ricattarmi?».
Yudi si pentì di aver usato la parola «ricattare» nel preciso istante in cui l’aveva pronunciata. Era come mettere strane idee in testa alla gente.
«Ti sembro un ricattatore, io?», chiese il ragazzo, offeso.
Era buffo vederlo camminare bendato, la mano destra nella sinistra del compagno.
«Non ho detto che tu sei un ricattatore», spiegò Yudi. «Mi piace essere super prudente, tutto qui. In inglese si dice “prevenire è meglio che curare”».
Erano arrivati nella via in cui viveva sua madre, nel secondo palazzo a sinistra. Un anziano sindhi che portava soltanto camicie bianche e pantaloni neri e che abitava due piani sopra la madre, stava salendo in macchina. Conosceva Yudi sin da bambino, quando viveva con i genitori, e aveva sempre pensato che gli mancasse qualche rotella. Ciononostante, vederlo accompagnare nel palazzo un tizio bendato era una stramberia che andava al di là di ogni possibile spiegazione. Squadrò Yudi. Che significa?, chiedeva la sua espressione corrucciata.
«Il mio domestico», spiegò Yudi. L’ho portato all’ospedale di Bombay per un’operazione alla cataratta. Capita».
«Quando torna tua mamma?», sospirò il signore, mettendo in moto la Fiat.
«Fra un paio di giorni», disse Yudi, e si allontanò in fretta.
Entrò con il ragazzo nella Pherwani Mansion (così si chiamava lo stabile). Schiacciò il pulsante dell’ascensore, che per fortuna arrivò vuoto senza altri vicini indiscreti. Vi spinse dentro il ragazzo, chiuse la porta a soffietto in gran fretta e salì al terzo piano.
«Hai detto che sono il tuo domestico?», chiese il ragazzo nel breve intervallo in cui l’ascensore andava dal primo al terzo piano.
«Solo per chiudere il becco a quel grassone di un sindhi», rispose Yudi.
«Lo sa di te?»
«Non ne ho idea. Non è che la gente vada in giro a dire: “Ah, so tutto di te, dei bei maschioni che ti scopi nell’appartamento di tua madre mentre lei non c’è”».
Il ragazzo rimase in silenzio. Non gli andava che lo chiamassero «bel maschione». Non gli piaceva nemmeno che Yudi usasse la parola «scopare». Yudi aprì la porta dell’appartamento e lo accompagnò nel salottino. Gli sbendò gli occhi e gli portò un bicchiere d’acqua.
Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao
Il 21 giugno a Milano: Gay made in India. Incontro con lo scrittore R. Raj Rao, in collaborazione con il Milano Pride