La stanza era ingombra di oggetti accumulati nel corso di molti anni. Contro la parete erano allineate sei sedie di paglia, quasi tutte sfondate. Un grosso armadio munito di specchio, con una zampa anteriore spezzata, pendeva inclinato a un’angolazione preoccupante. In un cassettone di mogano scuro si notava una grossa fessura nera rettangolare in corrispondenza di un cassetto mancante. Sul ripiano del mobile erano disposte una decina di boccette di preparati medici, vuote o mezze vuote. Un letto a baldacchino occupava il centro della stanza, con un materasso sottile arrotolato da una parte. Sulle assi a vista dell’altra metà, sopra uno strato di vecchi giornali, c’erano un fornello da campeggio annerito, un tagliere e un grosso coltello da cucina. Sotto il letto, la sagoma concava e vuota del coperchio di una macchina da cucire. Accanto, un tavolino ingombro degli oggetti più svariati: un lume a cherosene, una tazzina di porcellana scheggiata, un cacciavite, una grossa vite, una dentiera in un vasetto pieno d’acqua, un libro di preghiere spiegazzato, un grosso gomitolo di filo, una scarpina rossa da bambino e, in un piattino, un ammasso verde di muffa che era probabilmente un pezzo di formaggio. Alla parete ticchettava forte una pendola vetusta. Con una certa sorpresa, Jingo notò che segnava l’ora esatta. Accanto all’orologio era appeso, un po’ di sbieco, un vecchio calendario che raffigurava Nehru nell’atto di annusare una rosa rossa fiammeggiante.
Invitato ad accomodarsi, Jingo scelse un panchetto di legno dalle decorazioni bizzarre: non appena seduto, gli sorse il dubbio di essersi piazzato sul coperchio chiuso di un pitale di foggia antiquata. Ebbe l’impulso di spostarsi. Nessuna sedia nella stanza, però, pareva in grado di reggere il suo peso, e alla vecchia non sembrava importare dove si era seduto. La donna montò sul letto in fretta e furia, senza fiato per l’emozione, in attesa che Jingo iniziasse a parlare.
Da Le ceneri di Bombay, di Cyrus Mistry