A Lubok Sayong ci sentimmo quasi tutti sollevati quando le orde di volontari fecero fagotto per tornare al loro tran-tran quotidiano nella capitale. Nonostante avessero portato beni di prima necessità graditi come cibo e altre provviste, la loro intensa energia in quei pochi giorni di volontariato risultò per lo più sgradita. Eravamo stanchi. «Stanchi fino al midollo», disse qualcuno. Dopo i primi giorni deliranti dell’alluvione, le emozioni ribollivano. Il dinamismo frenetico e le banalità benintenzionate di quei volontari riuscirono solo a provocare risentimento tra gli abitanti, che avevano già i nervi a fior di pelle. In verità molti di noi preferivano l’aiuto pigro della polizia e dei pompieri. Con loro condividevamo le attese silenziose e una paziente tolleranza dell’inefficienza. Il nostro legame di comune disgrazia era un punto di partenza da cui poteva nascere l’amicizia. Invece da quelle persone le cui ciotole di riso stavano altrove ricevevamo solo la compassione che nasce da eventi eccezionali. Per quanto inespressa, la consapevolezza che le loro difficoltà erano temporanee influenzava inevitabilmente la buona volontà di quei volontari in trasferta.
Da La somma delle nostre follie, di Shih-Li Kow
Posted by Metropoli d'Asia on marzo 16, 2016
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Da Il mo ragazzo, di R. Raj Rao
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