Si avviarono. Una volta usciti dalla stazione, mentre aspettavano il verde alle strisce pedonali, Yudi prese al ragazzo la mano. Era fredda, nonostante la calura. Le dita sottili, ossute. Scarne, sgradevoli da stringere. Il ragazzo non la ritrasse e lasciò che Yudi gliela tenesse finché gli pareva. Per Yudi stare mano nella mano era un preliminare piacevole. Ogni volta che abbordava qualcuno, dava inizio a questo rituale molto prima di arrivare a casa. Tuttavia la maggior parte degli uomini sfilava la mano dopo qualche minuto, dicendo: «Ci guardano». Al che lui replicava facendo notare che erano in India, mica in America; gli adulti si tenevano per mano in segno d’amicizia. Ma i suoi partner rimanevano scettici. Alcuni continuavano a lasciarlo fare, ma solo per educazione. Ora, mentre si dirigevano all’appartamento della madre, Yudi si chiedeva a quale categoria appartenesse il ragazzo. Era una questione di educazione, oppure gli andava veramente di essere tenuto per mano da lui? All’improvviso si rese conto di non aver domandato al ragazzo come si chiamasse.
Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao