Ho raccontato, nel post precedente a questo, la mia impressione, una volta terminata la lettura del suo Resident Tourist, di ritrovarmi dentro alle sue tavole.
Come quando si guardava il Blob dei bei tempi su Rai3, e poi ogni trasmissione ti pareva finta, un Blob di sé stessa, perché ne veniva fuori la comicità involontaria, la fiera delle assurdità.
Ma Singapore perché rende questa impressione, da fumetto? Troy Chin ha un segno nitido, quasi geometrico, iperrealistico ma allo stesso tempo virato sulla leggerezza.
Allora mi sono chiesto: forse perché così è Singapore? Una città semplificata, una città giocattolo? È noto come le forme del design contemporaneo vadano d’abbrivio verso un segno infantile (mi vengono in mente le nuove Mini, o le 500, che sembrano la replica dei modelli originali ad opera dei disegnatori di Topolino, con tutte quelle belle curve e i fanaloni; o tanti oggetti d’uso quotidiano che sembrano prodotti dalla Chicco, senza spigoli perché non si faccian male i bambini).
Troy non compie questa deriva (né le architetture di Singapore lo fanno), ma aggiusta il tiro comunque su un segno giocattolo che è ESATTAMENTE quello sui cui si innestano le architetture di Singapore: grattacieli sulle cui forme ci si interroga invano (il famoso Marina The Sands si compone di tre torri oblique, ondeggianti come belle signore, sulla cima delle quali si posa una specie di barca!), una altissima ruota panoramica da luna park, un peraltro bellissimo teatro e sala da concerti che assomiglia a un porcospino (qui lo chiamano il Durian, un frutto locale), i grattacieli di vetro sotto ai quali, orizzontale, la mole di un ex ufficio postale coloniale sembra rifatto dagli architetti di Disneyland.
Insomma, la bravura di Troy Chin è quella di far muovere le esistenze giocattolo dei suoi personaggi (scuola, università, ufficio, matrimonio, centro commerciale, e il tutto disperatamente, e senza pensiero critico) dentro a questo segno giocattolo.
Segno che si è inventato da solo, da completo autodidatta, disegnando cinque libri l’ultimo dei quali, il quinto, gli fa venir voglia di ridisegnare i primi due. Bravo Troy.
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