Quando pubblicammo Il mio ragazzo di Raj Rao quasi due anni fa, Mario Fortunato ne scrisse sull’Espresso: «E’ un romanzo che farei leggere nelle scuole». Era la storia di un amore omosessuale a Bombay, scritta da un attivista per i diritti dei gay in India.
Questi sono invece i racconti di uno scrittore colto, raffinato, ironico, capace di scandagliare luoghi e persone della sua città come pochi altri. R Raj Rao è dotato di una versatilità non comune che gli consente di presentarci una finta intervista al famoso scrittore, o lo schema di un trattamento per la televisione, oppure la storia di una relazione omosessuale attraverso le lettere che i due protagonisti si scambiano.
Sa anche essere esilarante, come ne L’assassinio di Salman Rushdie il cui protagonista non è che il proprietario di un’officina meccanica, ma è quasi il sosia del famoso scrittore, e si trova a firmare autografi, e poi a cercare di sottrarsi al linciaggio da parte di un gruppo di fondamentalisti islamici, apparendoci sempre come più simpatico, più umano e meno carogna del suo celebre alter ego.
C’è una critica alla società letteraria, nei racconti di Rao, e il personaggio che visita la Trinidad, patria di V.S. Naipaul, non sembra aver peli sulla lingua.
Ma c’è anche un giovane adulto, figlio di un ferroviere, che percorre l’India in treno spinto da una propria ossessione, o un giornalista cosmopolita che appunta sul proprio block notes il disappunto per la visita imminente di un parente indesiderato.
E poi il racconto che dava il titolo alla accolta originale in inglese, quel quasi intraducibile One Day I Locked My Flat In Soul City, di cui noi non potevamo rendere in italiano la musicalità e il ritmo, allucinato resoconto di un uomo che, uscendo di casa, si trova immerso in una fiumana di persone in cammino verso una meta sconosciuta. E accompagnarla, questa massa indistinta di corpi odori rumori gesti e espressioni, è facile, ma risalire la fiumana per tornare a casa è ardua impresa. E una volta ritornati, con fatica, al proprio appartamento, si chiude la porta a chiave.
È bello tornare in India dopo dodici mesi (dopo Dangerlok di Eunice De Souza). È bello ritornare nella Smog City di Amruta Patil che abbiamo visto a Ferrara di recente, e ritrovarla SOUL. È bello chiamarla Bombay, come fanno gli scrittori, e non Mumbai, come fanno i partiti della destra induista.
Godetevi questa intervista: un intellettuale vero.
Autobiografia di un indiano ignoto è in libreria da oggi, 16 novembre.
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