A una anno di distanza, una verifica dei cambiamenti in atto a Singapore. Ha chiuso Borders, qui come altrove. Ma nessuno ha cercato di rimpiazzarla, non sembra essere nato un nuovo spazio di quel livello.
La libreria più grande resta Kinokuniya, catena giapponese presente in tutto il Sud-est asiatico. Ci sono due entrate: quella, diciamo così, casuale, dalle scale mobili che risalgono piano dopo piano il centro commerciale, e quella principale, accessibile direttamente dalla strada.
Quella casuale è posizionata sui reparti dell’illustrato e del cosiddetto self-help: tomi di vario tipo che insegnano a sopravvivere nella modernità raggiunta di recente.
L’entrata dalla strada è invece sulla fiction (qui definita come Literature). Sui primi banchi e nello scaffale bestsellers spiccano romanzi americani, britannici, australiani, insieme all’ultimo di Aravind Adiga, indiano nato in australia.
Però subito a seguire c’è una scaffalatura nuova di zecca: letteratura cinese, giapponese, asiatica, indiana e “local“. Segnale di attenzione da parte dei lettori per il proprio continente in ascesa.
Naturalmente stiamo parlando dei volumi in lingua inglese, perchè in un paese dove l’inglese è la lingua del sistema scolastico, la più grande libreria conserva ancora quasi la metà dello spazio ai libri in cinese. Che, mi dicono, sono per la maggior parte di editori cinesi, ma con una buona presenza dei taiwanesi. In ogni caso la literature cinese o inglese che sia, occupa non più di un quinto dello spazio totale.
Foto: penguincakes