Si ricomincia a parlare del Man Asian Literary Prize. In vista della premiazione, intanto abbiamo la giuria, e i criteri per l’ammissione. La giuria è sempre un po’ deludente: una corrispondente BBC, un autore indiano noto perchè il suo romanzo fu ripreso da un film di un regista inglese, un autore nato in Corea ma residente negli USA dall’età di tre anni.
La scelta è sempre quella di sposare un punto di vista occidentale. Come se da Hong Kong dicessero: questo, più che un premio alla produzione asiatica, è un trampolino di lancio per l’industria editoriale europea e americana. Il che non toglie che romanzi eccellenti possano vincere il premio, e quindi essere messi sotto il naso degli editori nostrani.
Wolf Totem era – scusate se oso esprimermi in questi termini – una riconosciuta boiata. Ininfluente in Cina, tradotto ovunque grazie al MALP, non ha lasciato traccia neppure da noi. I tre più recenti vincitori sono invece buoni romanzi, anche se l’autore filippino, Miguel Syjuco, filippino davvero non è, ma proviene dalla diaspora, in Italia è stato pubblicato e anche ben recensito ma si è visto poco sui banchi delle librerie.
Curiosamente ancora non trovo traccia in Italia dei due recentissimi vincitori cinesi: Su Tong è un grande autore, tradotto da Feltrinelli, ma proprio questo Boat to Redemption non è ancora apparso in Italia, così come il Three Sisters di Bi Feiyu. Insomma: qual’è il vantaggio nel selezionare romanzi che “possono vendere” in Europa, se poi li pubblichiamo male, con poco risalto, e li abbandoniamo al mare magnum dei libri di quarta schiera? Non è meglio allora andare a cercare un narrativa più fresca e autentica, scommettere su autori giovani che possono presentarci punti di vista nuovi?