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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post su Asia

Scarcerati 20 politici in Birmania

Nell’ambito di un’amnistia presidenziale sono stati recentemente scarcerati 20 attivisti politici birmani che si trovavano agli arresti.

Aung San Suu Kyi, che recentemente si è recata in Europa dove ha ritirato il Nobel per la Pace che aveva vinto nel 1991, ha chiesto la liberazione di altri 330 prigionieri politici ancora detenuti.

Via: @simopieranni

Cosa succede in Bangladesh

Un giornalista impegnato nel documentare i traffici di droga nella zona è stato ucciso in Bangladesh, nel distretto del Jessore vicino al confine con l’India. Dal 1992, sono 12 i giornalisti uccisi.

Intanto, nella zona di Ashulia, un centro urbano alle porte della capitale Dhaka, 300 fabbriche tessili hanno interrotto la produzione a causa delle violente proteste dei lavoratori, che chiedono migliori condizioni salariali.

Fonti: @AsiaSociety

Aung San Suu Kyi in Europa

Aung San Suu Kyi è appena partita per un viaggio in Europa. Si tratta chiaramente della prima volta fuori dalla Birmania da quando è stata arrestata nel 1988.

Visiterà Regno Unito, Svizzera, Irlanda, Francia e Norvegia. Qui ritirerà formalmente il Nobel per la Pace che aveva vinto nel 1991.

Brevi: Twitter bloccato in Pakistan

L’autorità delle telecomunicazioni pachistana ha inibito l’accesso a Twitter per “contenuti blasfemi”, senza però specificare quali. Un precedente c’era stato nel 2010, quando oltre 1.100 siti furono oscurati per due settimane.

Da Udine all’Estremo Oriente

Nel recente Far East Film Festival di Udine si è tenuto un incontro dal titolo Cultural Exchanges Between East and West, al quale ha partecipato anche Andrea Berrini. Il sito Film Business Asia, punto di riferimento nel continente per tutto quello che ruota attorno all’industria del cinema, propone un resoconto scritto della conferenza:

Andrea Berrini, Metropoli d’Asia
I’ve been visiting China for the past 20 years and I always wonder what are the special values belonging to Chinese culture that are distinct from Italian culture. When I decide to import a Chinese author’s works, I realise that I’m finding values [between our cultures] much more similar than I expected. Italian readers are used to thinking about Asian countries as faraway third-world places. But actually the new literature from China is about a new generation that are very much like Italians, especially in the big cities. They have a middle-class that has the same values as us. This is something of a surprise. We Italians are facing the same challenges as the modern Chinese. In fact, China reminds me of the Italy of the 1960s. The Italy of the economic boom when families started having cars and women were not prepared to stay at home anymore.

(continua a leggere su Film Business Asia)

L’8 marzo di Annie Zaidi, su China Files

Ieri China Files ha realizzato uno specialone per la Giornata internazionale della donna (aka Festa della donna). Si intitola Altre donne e raccoglia una serie di storie legate a diversi paesi dell’Asia.

Per quanto riguarda l’India, è stata proposta una lunga intervista ad Annie Zaidi nella quale sono stati toccati diversi temi legati alla situazione delle donne nel paese. Inoltre, è stato pubblicato un estratto da I miei luoghi, il reportage di Annie Zaidi appena pubblicato da Metropoli d’Asia.

D: Le donne in India subiscono quotidianamente discriminazioni e molestie, anche nella vita di tutti i giorni. Pensi che, nonostante tutte le differenze di casta, religione, ricchezza e status sociale, esista un tratto comune in grado di unire tutte le donne in India nella loro condizione? Pensi che ci sia un terreno comune dove tutte le donne indiane sentono di far parte di un gruppo specifico?

R: Questa è una domanda difficile. Credo che l’identità nazionale (così per come ladefiniamo) sia un concetto poco compreso, specialmente quando le persone sono divise e si dividono ancora in base a caste, religioni, classi sociali e così via. Se chiedi a una donna tribale illettarata che vive in un’area remota cosa significa essere una donna indiana, cosa risponderà? Lei a malapena sente la presenza dello stato indiano, a meno che non abbia beneficiato di particolari programmi statali, o altro, oppure può esser stata traumatizzata da altre forze che possono essere statali o meno, ma che lei comunque qualifica come “indiani”.

Oltretutto, moralità, norme sessuali, matrimonio e aspettative lavorative differiscono da una comunità all’altra.
Ci sono molte somiglianze, naturalmente. Una larga gamma di classi e caste sono aggrovigliate in quello che possiamo chiamare ‘mainstream’, la corrente tradizionale. Condividono i valori e i problemi che chiamiamo “indiani”. Ma fino a poco tempo fa c’era una grande diversità e, anche ora, le cose sono in continuo mutamento.

(Continua a leggere su China Files)

I temi, appunto: di che scrivono gli asiatici?

Appunto: è una parola che ricorre nei miei post. Un invito a rimarcare ciò che già ho scritto, quindi a ritornarci sopra, scrivendo come fosse punto a croce, con l’ago che torna a raccogliere il nodo già serrato e lo riaggancia più avanti, un passo oltre.

Provo a interpretarmi: quel che sto facendo è riprendere, dall’Asia, un percorso già iniziato (riannodo fili, è chiaro). Da qui raccolgo suggestioni, temi, frammenti di un mondo che descrivo e commento per quel che è: un mondo altro e distante (nuovo? parola oggi orrenda). Ma tra le righe ci leggo un riverbero della realtà mia, nostra: e allora lego e confronto, per procedere ancora (e non lo faccio solo scrivendo, ma anche scegliendo un romanzo da tradurre e pubblicare più che un altro).

E in quel che vedo non trovo un Altro a noi opposto (dove noi siamo Ricchi l’Asia è Povera, dove noi siamo Materialisti, loro sono Lo Spirito, dove noi siamo in Recessione, loro sono in Crescita), ma al contrario: ritrovo gli stessi interrogativi nostri, i nostri temi riproposti. Ma quali, dunque? Proviamo.

Gli scrittori e il mondo che hanno attorno. Il loro, di mondo. Le motivazioni, le ragioni dello scrivere. Che stanno dentro a esperienze individuali, ma anche dentro a una precisa connotazione sociale: i narratori asiatici non sono miliardari né senza casta né contadini espropriati né operai ridislocati. Sono professionisti, tutta gente che non vive al piano terra o nei seminterrati, ma su in alto, appartamenti con vista. Chirurghi, avvocati, scriptwriter, giornalisti, accademici, pubblicitari, videomakers. O figli e figlie: di manager, industriali, avvocati e chirurghi ancora.

Una certa aria nostra da secondo dopoguerra: dove da noi era ricostruzione e boom economico, qui è costruzione tout-court, e boom economico. Con tutto quel che si porta dietro: trasformazioni sociali, contrapposizioni e intersezioni tra ceti sociali diversi. Tra la ricchezza e la povertà: un baratro. Chiedendosi sempre, lo scrittore che sta in lassù, cosa succede in basso, e la società in generale, i media e i cosiddetti opinion leader, cosa sia giusto o sbagliato fare.

Consumi, ceto medio (ocio però: qui si dice middle class e si intende davvero chi sta in mezzo. Da noi si usa ceto medio per descrivere quasi tutto). Irreggimentazione dei comportamenti, frustrazione conseguente. Noia, forse, e al contrario una sottile sensazione di panico incombente (bellissima, ‘sta cosa, come ho già detto: Ballardiana).

Le donne: un ruolo nuovo, affrancate non tanto dai fornelli quanto piuttosto scaraventate in una modernità fatta di corsi di basket e nuoto per i figli, e di eterna rincorsa allo status. Da un lato, donne capaci di mettere in discussione la norma, l’abitudine consolidata, e di spingere in avanti il mondo. Dall’altro, donne come primo veicolo di consumismo, informazione come gossip, dittatura dell’emozione sul raziocinio.

Relazioni tra gli individui: estraneità e cattiveria, una buona dose di disperazione, ricerca a tutti costi di un pezzo di piacere, e a tutti costi vuol dire che lo si paga caro. Balle a gogò su sex and drugs and rock and roll, qualche verità omosessuale. Un bel tocco di solitudine.

E i lettori: narcisismo e paura del mondo. Qui i bestseller sono i cosiddetti self-help books, che ti insegnano a difenderti dal capo, a non essere timido, a utilizzare a pieno regime le tue risorse intellettuali e fisiche, a coltivare l’aggressività e la leadership! E poi tutti i romanzi che parlano del noi: noi quando eravamo all’università, noi giovani ribelli, noi famiglia in ascesa. Un io plurale ipertrofico, fin sgargiante.

Sette libri per il Man Asian Literary Prize

È stata appena annunciata la shortlist del Man Asian Literary Prize. Evidentemente tra ex-aequo e indecisioni dei giudici i finalisti sono portati a sette anziché agli usuali cinque. Questo l’elenco completo, con le schede dei libri e degli autori.

Da segnalare inoltre che è la prima volta che un autore sudcoreano entra nella lista. Il vincitore sarà proclamato a marzo.

Jamil Ahmad, Pakistan – The Wandering Falcon (Penguin India/Hamish Hamilton)
Jahnavi Barua, India – Rebirth (Penguin India/Penguin Books)
Rahul Bhattacharya, India – The Sly Company of People Who Care (Pan Macmillan/Pan Macmillan India/Picador)
Amitav Gosh, India – River of Smoke (John Murray/Penguin India/Hamish Hamilton)
Kyung-Sook Shin, Corea del Sud – Please Look After Mom (Alfred A. Knopf)
Yan Lianke, Cina – Dream of Ding Village (Grove Atlantic)
Banana Yoshimoto, Giappone – The Lake (Melville House)

What Am I Talking About When I Talk About Asia?

Rileggo i post di quest’ultima infornata. L’abbiamo voluta intitolare In diretta dall’Asia, e così è: anche se qualche pezzo è uscito sul blog mentre già mettevo le gambe sotto le molte tavole di questa fine d’anno in Italia, gli incontri e le descrizioni sono in presa diretta, scritte in quelle città d’Asia, con la memoria fresca.

Ma la memoria non è una telecamera. Scrivendo, noi non siamo mai live. La memoria, anche quella di pochi giorni o di una sola notte di sonno buono, seleziona, collega, interpreta. Accende un riflettore (un personalissimo sguardo) e lo punta dove le pare (a questo punto, con più rispetto, dovrei definirla La Memoria). (E per meglio definire il concetto vorrei dialettizzarlo ritmicamente: il riflettore La Memoria lo punta dove le pare a lei). (Il mio è un dialetto lombardo, che taluni politicamente stuprano per i loro personali affaracci, ma i dialetti sono nobili come ci insegnano tanti Zanzotto, Arbasino, Pontiggia).

La Memoria non è solo memoria, visto il modo in cui mi porta regolarmente fuori tema, a deragliare dentro a praterie esplorabili, esplorande. Mi par di ricordare che il latino avesse un tempo verbale proprio per un “dover fare in futuro”: esploratur, ci proviamo? (Ma: occhio ai doveri, lasciamoli stare, fidiamoci de La Memoria solo quando ci porta dove più ci pare e piace).

Niente latino quaggiù: hindi e marathi, cinese mandarino cantonese e hokkien (quello delle comunità immigrate nel sudest), malay così simile all’indonesiano e come quello irrobustito da termini direttamente derivati dall’arabo. Tamil, del Tamil Nadu, India del sud origine della migrazione in Indocina dei progenitori di quel Brian Gomez che porta un nome portoghese, da gente della costa, meticcia e contaminata, e ce lo rende in blues!

Mi par che questo post cominci con una lunga digressione che un po’ è un tirarla in lungo (o in lingua?) un po’, appunto, è La Memoria che mi porta a dare una risposta all’interrogativo di questa mattinata di galaverna in Lombardia: ma io che cerco? Quali sono i temi, quale il sottotesto degli incontri con tutta questa gente, delle perlustrazioni di città in città (Singapore, Kuala Lumpur, Taipei, Hong Kong, Delhi, Mumbai-Bombay-Bom Bahia) correndo dietro agli editori amici (e chissà, futuri soci…).

Perché sì, la risposta è sì: sì che ci voglio fare un libro prima o poi. Ma che ci racconto, io, in codesto libro? (Quando si scrive “io che cerco”, facendo un po’ il verso al “che ci faccio qui” di Chatwin, si scrive in realtà: ma io che voglio scrivere, davvero?) (Una volta, prima di aver mai letto né sentito parlare di quel libro di Chatwin, incominciai un lungo brano dal Burkina Faso con un “Ouagadougou, agosto, stagione delle piogge: ma che ci sono venuto a fare?”, e il direttore dell’amata rivista, letta la prima frase, lo cestinò – in senso letterale, lo gettò luciferinamente nel cestino della carta straccia dicendomi: già letto).

Ci sto girando intorno: quali sono i miei temi, in questi post? E poi: come organizzare un testo lungo sugli scrittori dell’Asia? Che controllo sono in grado di avere del mio narrare? Già: quali sono i miei temi? Rileggere, per capire. Rileggetur.

Premiazione a Taiwan

Metropoli d’Asia e’ entrata a far parte di un pool di editori asiatici che ha recentemente assegnato un premio a quello che viene considerato il miglior giallo dell’Asia orientale.

Lo abbiamo gia menzionato: si chiama Soji Shimada Mystery Award. Prende il nome da un autore giapponese di culto, una icona del pubblico giovanile, cultore di quelli che qui vengono definiti “gialli a chiave”: quelli in cui c’e’ un mistero, un enigma da risolvere.

Il pool si e costituito attorno a un editore taiwanese, Crown, e vede la partecipazione di editori dalla Cina, Giappone, Corea, Tailandia, Malesia e, appunto, Italia: Metropoli d’Asia pubblichera il romanzo vincitore e ha incarico di rivenderne i diritti in Europa e in alcuni paesi asiatici.

Il vincitore e’ di Hong Kong, si chiama, a seconda dei casi, Chen Haoji, oppure Chan Ho Kei, a seconda che lo si pronunci in mandarino o in cantonese.

Lo incontrerò a Hong Kong nei prossimi giorni, ne parleremo. Intanto possiamo dire che il titolo provvisorio del giallo e’ “Dimenticare. Polizia criminale”. Nella foto ecco Soji Shimada con il nostro Ho Kei, a destra.

Lui è di Hong Kong, dove si parla cinese cantonese, e non mandarino (ma scritto nella versione tradizionale, non in quella semplificata). La questione è… complessa. Sostanzialmente succede questo: il cinese è una lingua unica, ma nel sud della Cina si pronuncia in modo differente che nel resto del paese. I due nomi che ho citato rappresentano appunto, le due pronunce di un nome scritto allo stesso modo.

Naturalmente quando si traslittera nel nostro alfabeto, ecco che spuntano due nomi diversi. Noi scegliamo il secondo. Ce lo ha chiesto Chan Ho Kei, scrivendomi: se preferisci, chiamami Simon.

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