• Chi siamo

    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
  • Libri

  • Parlano di noi

    • A Yi e Chan Ho Kei su Alias
    • Ayu Utami su Alias
    • L’impero delle luci segnalato su Internazionale
    • Metropoli d’Asia sulla Rivista Tradurre
  • Autori

La rivoluzione dell’ibisco

Sabato scorso è girata sul web la notizia della manifestazione a Kuala Lumpur, nel corso della quale 50.000 manifestanti chiedevano una legge elettorale più aperta alle opposizioni, in un paese, la Malesia, che è tra i più interessanti dell’Asia Sudorientale per la compresenza di quattro gruppi etnici, linguistici e cultural-religiosi (i Malay, i Cinesi, i Tamil e i bianchi con relazioni di conflittualità e incontro tra loro).

Colpisce l’arresto di ben 1600 persone (poi rilasciate in gran parte). Il nostro Brian Gomez ha scritto un post sul suo facebook che una testata di singapore ha subito riportato.

Malesia Blues, che abbiamo pubblicato un anno fa è un thriller grottesco, un po’ alla Tarantino, con la capacità di mostrarci l’intreccio razziale e politico di uno dei paesi più infiltrati dai servizi segreti di tutto il continente asiatico.

Consigliamo anche, per capire la Malesia, il blog del regista documentarista Amir Muhammad, catalogo online di una piccola casa editrice che propone saggi interessantissimi sul paese. E poi il blog di Sharon Bakar, Bibliobuli. Brian, Amir e Sharon sono su Facebook e Twitter, e spesso rilanciano notizie interessanti sul paese, sulla sua produzione editoriale e sulla censura.

Per concludere, ecco ancora il blues di Terry Fernandez, l’eroe di Malesia Blues.

Saggi da Singapore

Il nostro amico Fong Hoe Fang riesce, con la sua Ethos Books, a essere sempre sul pezzo. A poco più di due mesi dalle elezioni politiche di Singapore, che hanno segnato un punto verso l’affermazione di una democrazia sostanziale nel piccolo paese del sud est asiatico, ecco un libro che raccoglie saggi di alto profilo.

Lo scorso 7 di maggio l’opposizione ha raccolto quasi il 40% dei voti in un paese che da sempre ha vissuto un sostanziale regime da partito unico mascherato. Il sistema elettorale a collegio uninominale concede solo una manciata di seggi allo Workers Party, ma si profila un regime di alternanza. La rivoluzione dei gelsomini qui ha lasciato qualche frutto.

Arriva il Man Asian Literary Prize

Si ricomincia a parlare del Man Asian Literary Prize. In vista della premiazione, intanto abbiamo la giuria, e i criteri per l’ammissione. La giuria è sempre un po’ deludente: una corrispondente BBC, un autore indiano noto perchè il suo romanzo fu ripreso da un film di un regista inglese, un autore nato in Corea ma residente negli USA dall’età di tre anni.

La scelta è sempre quella di sposare un punto di vista occidentale. Come se da Hong Kong dicessero: questo, più che un premio alla produzione asiatica, è un trampolino di lancio per l’industria editoriale europea e americana. Il che non toglie che romanzi eccellenti possano vincere il premio, e quindi essere messi sotto il naso degli editori nostrani.

Wolf Totem era – scusate se oso esprimermi in questi termini – una riconosciuta boiata. Ininfluente in Cina, tradotto ovunque grazie al MALP, non ha lasciato traccia neppure da noi. I tre più recenti vincitori sono invece buoni romanzi, anche se l’autore filippino, Miguel Syjuco, filippino davvero non è, ma proviene dalla diaspora, in Italia è stato pubblicato e anche ben recensito ma si è visto poco sui banchi delle librerie.

Curiosamente ancora non trovo traccia in Italia dei due recentissimi vincitori cinesi: Su Tong è un grande autore, tradotto da Feltrinelli, ma proprio questo Boat to Redemption non è ancora apparso in Italia, così come il Three Sisters di Bi Feiyu. Insomma: qual’è il vantaggio nel selezionare romanzi che “possono vendere” in Europa, se poi li pubblichiamo male, con poco risalto, e li abbandoniamo al mare magnum dei libri di quarta schiera? Non è meglio allora andare a cercare un narrativa più fresca e autentica, scommettere su autori giovani che possono presentarci punti di vista nuovi?

Essere locally based

Segnalo un’intervista rilasciata ad AGI China 24. Sempre una buona occasione per parlare dell’attività di Metropoli d’Asia, di come è nata e di come scopre i nuovi autori. E per fare qualche riflessione sul mercato editoriale, in particolare quello cinese, tra autori vecchi e nuovi. Peccato l’errore: non siamo più con Giunti Editore, ma dal 31 di luglio saremo distribuiti da PdE.

Le lingue dell’Asia

Di recente il Sole 24 Ore ha intervistato William Darlymple, ottimo scrittore di lingua inglese residente in India. Drlymple è però significativo di una tendenza riguardo alla narrativa asiatica che prima o poi si dovrà invertire: quella di privilegiare la lingua inglese come medium. perchè Darlymple è il direttore del festival di Jaipur, il più importante evento letterario di quella parte del continente? Molti amici indiani dicono, storcendo il naso: perchè non è indiano, è inglese.

Molti dei festival letterari pur interessantissimi – penso a Ubud in Indonesia, a Shanghai e Pechino, a Hong Kong, a Galle e perfino al Mountain Echoes in Buthan) vedono una preminenza di autori di lingua inglese che è quasi sospetta. Ma cosa raccontano gli indonesiani, che scirvono in Bahasa Indonesia? E i cinesi, che l’industria editoriale europea ancora non è riuscita a far decollare?

E un’altra domanda: in quale lingua che non sia l’inglese potranno parlarsi i paesi dell’Asia sudorientale? A quando un bel sito sulla letteratura del continente visibile magari in più lingue?

Ai Weiwei e gli altri

La liberazione di Ai Weiwei (che ancora non sappiamo se sia definitiva), dà spazio a una riflessione circa le voci critiche in Cina – non m piace usare la parola “dissidente” che è venuta via via indicando personalità in esilio all’estero.

Ai Weiwei (anche se imputato in questo caso in veste di operatore immobiliare) è un artista. Dello scrittore e premio Nobel Liu Xiao Bo si è detto, e noi stiamo per presentare al pubblico italiano il romanzo del blogger Han Han, capofila di una lunga lista di scrittori e giornalsti che si fanno sentire in Rete.

Non economsti, scienziati, sociologi o ricercatori, ma narratori, perché anche l’arte è una narrazione. La loro capacità, e la loro scelta, è quella di restare entro certi limiti invalicabili (mai criticare in modo diretto il regime a partito unico, o perorare la causa della democrazia, e mai nominare le questioni inerenti alla nazionalità, quindi Tibet e Taiwan), ma sbizzarrirsi poi nell’osservazione critica del proprio paese, molto spesso forti – come lo sono i bloggers – di un buon numero di seguaci.

Questo prevalere della narrazione (avete letto i racconti del nostro Zhu Wen?) non ha eguali in altri paesi del mondo. In Cina è dal mondo della cosiddetta finzione che viene lo sguardo più penetrante e acuto sulla realtà sociale e politica del paese. E forse per questo le storie narrate stanno diventando così interessanti, pregnanti, divertenti.

Dopo la caduta

La sconfitta elettorale dei comunisti nello stato di Kolkata è epocale: la società indiana si interroga intorno a questa caduta dopo decenni di dominio incontrastato. Il nostro Indrajit Hazra, su The Caravan, ci dà il solito caustico commento, con un lunghissimo reportage nel quale ripercorre la trentennale storia del Communist Party of India nel Bengala Occidentale.

Per approfondire, da leggere l’altrettanto lungo e ormai celeberrimo articolo di Arundhaty Roy, che l’anno scorso passò diverse settimane con i ribelli maoisti dell’India centrale.

Donne

La stroncatura di Naipaul riguardo alla letteratura femminile tout-court è già stata ripresa dalla nostra stampa. Sta di fatto che in India non c’è cena “editoriale” o presentazione di nuove uscite in libreria nella quale l’argomento non venga ripreso. Si comincia a verificare infatti in India un fenomeno che potrebbe essere anticipatore di una tendenza a livello mondiale: le donne leggono le donne, i maschi leggono i maschi. Come una separazione in due mondi.

Ne abbiamo già parlato, ma ora il tema è nell’orecchio di molti. Divertente il fatto che l’Hindustan Times affianchi alla polemica di Naipaul l’intervista a Arundathi Roy in occasione del lancio dei suoi libri di inchiesta nel cuore dell’India rurale, dove si affrontano i reparti speciali dell’esercito e le popolazioni contadine a volte guidate da terroristi di sinistra (sic!). Sarebbe molto difficile rinchiudere la Roy in uno stereotipo femminile: i suoi reportage sono all’altezza dei grandi classici internazionale del genere.

Mercato editoriale e Fiere del Libro

L’anno passato l’India fu ospite d’onore al Salone del Libro di Torino. Metropoli d’Asia vide invitati tre dei suoi autori, Kiran Nagarkar, Amruta Patil e Ambarish Satwick, dentro a una pattuglia di una trentina, presentati durante le giornate del Lingotto e poi circolati in ogni occasione.

Come il prezzemolo, gli autori indiani vennero invitati a ogni piccolo o grande festival nei mesi successivi. Nelle librerie si aprivano veri e propri “spazi India”: vetrine apposite con una ventina di titoli. E gli editori a questo arrivarono preparati: si diede fondo ai report degli scout e ai cataloghi delle agenzie internazionali. Come a quelli delle case editrici indiane.

Certo, la stampa diede una mano: pagine intere di nomi fino ad allora sconosciuti arrivarono sotto gli occhi dei lettori. Risultati di vendita? Così così: autori noti al pubblico internazionale non lasciarono traccia di sé. E dopo l’abbuffata, il grande vuoto (“mah, negli ultimi mesi l’India dà poco”, si dicevano gli operatori).

Speriamo che non faccia la stessa fine la Cina, ospite d’onore alla Fiera del Libro di Londra nell’aprile del 2012. Certo, l’occasione è diversa: è un salone per gli operatori, più che per il pubblico come invece accade a Torino. Ma l’effetto “palla di neve” è in agguato: gli editori internazionali si muovono per tempo, lievitano i prezzi, e arrivano richieste dai paesi più disparati: noi di MdA, che abbiamo in catalogo Han Han, già riceviamo chiamate da paesi minori dell’Unione Europea, nuovi mercati in espansione che cercano occasioni per proporre novità ai loro lettori. Ma durerà?

Qualche riflessione sul mercato editoriale cinese

La notizia dell’acquisto milionario di Cent’anni di solitudine non è un caso isolato: conosco almeno un paio di autori locali acquisiti per cifre di poco inferiori. La cosa ha suscitato scalpore in Cina perché è noto che, nonostante il mercato potenziale dei lettori sia enorme e non sia inusuale per un bestseller vendere due o tre milioni di copie, i margini sono in realtà bassissimi.

Il Garcia Marquez acquistato per un milione di dollari dovrebbe vendere quasi dieci milioni di copie per far tornare i conti. La cifra rappresenterebbe un record assoluto e quindi la domanda è: perché? Perché alcuni gruppi editoriali anche di non primissima grandezza sono disposti a questo azzardo?

In effetti l’industria editoriale cinese rappresenta di per sé un mistero. Durante un mio recente soggiorno a Pechino e Shanghai sono stato sconsigliato dal cercare partnership con l’editoria locale. I miei interlocutori mi hanno descritto il settore come oscuro e poco trasparente. I grandi gruppi di stato, pur nella loro dimensione tendenzialmente regionale (ciascuno è centrato su una grande metropoli), sono in forte lotta tra di loro, e la fioritura recente di case editrici indipendenti è persino considerata sospetta.

Ci si domanda da dove vengano fuori improvvise disponibilità finanziarie. E il sistema di distribuzione sembra essere estremamente gerarchizzato, organizzato in modo quasi feudale. Qualcuno mi ha citato la scarsa fortuna dei grandi gruppi editoriali internazionali che hanno tentato l’avventura cinese: dal fallimento di Bertelsmann alla scelta di Penguin di operare solo come ufficio di rappresentanza. Insomma: un’editoria autarchica, feudale, nelle mani di poteri corrotti.

auckleycarey@mailxu.com calzada_rhu edgley@mailxu.com