Ora Anwar Sadat giaceva morto, in attesa che la sua fossa venisse completata, la bara pulita, e soprattutto in attesa del ritorno della sua ultimogenita, così avrebbe potuto mostrarle la ferita sconvolgente, come se sperasse in pianti più repentini e violenti di quelli di Kasia, Laila e Maesa Dewi. Con un’aria più trasandata del solito, Kasia era seduta sul pavimento con le ginocchia piegate, e mordeva l’angolo di un pezzo di stoffa che teneva in grembo. Nessuno sapeva perché si fosse portata quel tessuto, forse voleva solo sprofondare nella morte. Accanto c’era Laila la Vedova, che cercava invano di consolare sua madre, perché anche lei aveva bisogno di conforto; aveva appena perso i sensi finché qualcuno non l’aveva fatta rinvenire spruzzandole dell’acqua sul viso. La più scossa era Maesa Dewi, poiché era stata la prima a vedere la testa di Anwar Sadat quasi staccata dal collo. Continuava a singhiozzare e urlare per il dolore, come se avesse il ventre pieno d’acqua bollente, e abbracciava il suo bambino che come lei stava strillando disperato.
Da L’uomo tigre, di Eka Kurniawan