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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post in cui compare la parola annie zaidi

Annie Zaidi, Bombay, 2012

Annie Zaidi è indefinibile. Leggendo I Miei Luoghi se ne capisce una fragilità testarda, una determinazione che viaggia sul filo della sua ritrosia, una ritrosia che poi d’improvviso scompare in certi gesti quotidiani, l’autorità con la quale, poche sere fa, bypassava una fila di persone per ottenere un mio sandwich al bar del Prithvi Theatre di Juhu, dove stavano presentando, in anteprima assoluta, una sua pièce teatrale: Jaal.

Certo, quella sera non poteva che essere al settimo cielo, e poi io le avevo appena messo tra le mani la copia della sua prima edizione all’estero. Ma ancora vedo un’ambivalenza manifestarsi al Festival di Jaipur, pochi giorni dopo: arriva trafelata e in leggerissimo ritardo (1 minuto esatto) a un dibattito di cui avrebbe dovuto essere moderatrice, è desolata, ma non è causa sua: l’organizzazione le ha solo comunicato che avrebbe dovuto introdurre due autori senza fare nomi, le ha dato appuntamento in un posto sbagliato, lei qui nemmeno conosce i due scrittori in questione.

(continua…)

I miei luoghi di Annie Zaidi sul Corriere della Sera

Rassegna stampa su I miei luoghi

Vi proponiamo una serie di articoli su I miei luoghi, di Annie Zaidi, pubblicati all’epoca dell’uscita del libro in India (titolo originale Known Turf).

DNA India

Mumbai Mirror

Pioneer

Times of India

Outlook India (tradotto da Internazionale)

e in più la segnalazione (della versione italiana) su Left

Annie Zaidi, quattro anni fa, a Delhi

Il contatto me lo aveva dato Peter Griffin, di Caferati, una fanzine (una volta si diceva così) on line. Lui, non ero riuscito a incontrarlo (abitava a Navi Mumbai, due ore e passa di treno, al di là dello stretto). Andavo a Delhi, e allora mi aveva dirottato su Annie.

Delhi non era facile da girare, allora. Non c’era ancora il metrò (costruito, alla faccia delle lentezze indiane, a tempo di record), la città è immensa perchè il Raj (l’impero britannico) decise di estendere la piccola Delhi verso sud, e Nuova Delhi (oggi nessuno la chiama così) fu costruita come una serie di lunghi vialoni alberati, interconnessi da gigantesche rotatorie e circondati di verde e di palazzi governativi, o residenze dei potenti, o ambasciate.

Attorno a questa zona di urbanesimo museale nascono poi le cosiddette enclave, e cioè quartieri circondati da un muro, ai quali si accede da cancellate a voste presidiate da guardiani: dentro, si ritrova spesso l’India dei vicoli, e meno spesso un’India di stradine silenziose e edifici bassi, tante piante. Ma taxi, neanche a parlarne, quattro anni fa. Nemmeno un numero per chiamarli, o almeno un numero affidabile. Quindi bisognava viaggiare in autorisciò, nei dieci gradi scarsi delle mattinate di gennaio, a macinare chilometri a decine, aria gelida sulla faccia e fumi di scarico opulenti.

Eccomi dunque a accettare la proposta del mio hotel: una loro macchina a pagamento, prezzi irrisori da India (ma sta cambiando), e, sorpresa, un macchinone grande come una nave e un autista in livrea con tanto di berretto: mai visto in vita mia. E quando penso al mio arrivo sotto la villeta a schiera dove viveva Annie ai tempi provo un senso di vergogna: per i discorsi che ci siamo poi fatti, per i racconti miei di viaggi a piedi dentro alle baraccopoli africane, che incrociavano i racconti suoi di inchieste sul campo, nei villaggi lontani. Parlammo molto di Kapuscinski. Zio Ryszard.

Perché mi presentavo ancora come scrittore, allora: bei tempi, mannaggia. Ero in India a occuparmi d’altro, ma cominciavo a incontrare scrittori più per curiosità che altro. Un’antologia, chissà. Manco sapevo come funzionava davvero, l’editoria. Anche se cominciavo a stupirmi di quanta roba buona leggevo, in inglese, roba di cui nessuno si interessava nel mondo (bei tempi, mannaggia).

Insomma, mi accoglie una giovane ragazza, bellissima e spaventata dal transatlantico con ammiraglio posteggiato sotto casa. Ricordo che, credo per vincere l’imbarazzo, mi offrì un breakfast all’indiana, un ottimo piatto di patate e paratha, pane al burro. C’era una donna, nell’appartamento, intenta a rigovernare, con la quale Annie aveva una relazione evidentemente di complicità. Il donnone mi guardava raggiante, esibendo un sorriso larghissimo che sembrava dire: è arrivato il principe azzurro. Il quale principe si vergognava proprio un bel po’.

E sì che Annie non viene certo dagli slum: una laurea, una madre che le telefona tre volte al giorno (non una parola sul padre, da parte di una scrittrice che della violenza sulle donne fa il perno della propria indagine sul mondo), la bella casa con balcone, una libreria dove trovo Vonnegut (non sarà la prima volta, a Delhi) e altre chicche, tracce esplicite della condivisione con altre due ragazze della sua età (ventisei, ventotto, trenta?), da giovani privilegiate.

Alta middle class, ma con la voglia di guardarsi attorno. Non so bene di cosa ci siamo detti quel giorno, io avrò raccontato i miei monfalconesi, lei i suoi tentativi nella redazione di una rivista per farsi mandare in giro, a fare inchiesta. Griffin me la aveva presentata come giovanissima poetessa, ma qui c’era ben altro: una donna adulta con dei desideri adulti (non sto sminuendo la poesia, sto esaltando la voglia di conoscere, la necessità: la brama, pensa un po’).

Poi sul transatlatico, in mezzo al traffico, a vergognarmi ancora. La portiamo in redazione. A pochi metri dal parcheggio, in coda al semaforo, Annie chiede all’autista di fermarsi, perché una bambina batte sul vetro. Ma non chiede niente. Parlano, in hindi. Annie sembra rassicurarla, le mette una mano sulla testa. Ripartiamo e le chiedo di spiegarmi: dice che conosce la bambina, la vede lì tutti i giorni, per quel che può la fa da chioccia. La bambina le ha detto: ho bisogno di parlarti. Annie ha risposto: arrivo tra dieci minuti.

Dieci minuti: il tempo di salutare questo europeo in transatlantico, e il suo autista in livrea e berretto a visiera rigida (che si è rifiutato di togliersi anche a fronte di una mia precisa richiesta: e, per dirla tutta: allora chi era, quell’uomo silenzioso? Cosa avrà pensato di me? E di Annie?).

Ci siamo rivisti qualche volta, a Bombay e al festival di Jaipur. Lei ha pubblicato Known Turf, con Tranquebar, io lo ho tradotto con I miei Luoghi. Il primo non-fiction di Metropoli d’Asia, forse il libro più bello che abbiamo pubblicato (parola mia: da scrittore).

Il nuovo numero di Out of Print, con Annie Zaidi

Segnaliamo l’uscita dell’edizione di settembre di Out of Print, rivista online indiana di racconti brevi che con questo numero celebra il suo primo anniversario.

Le storie, tradotte in inglese e disponibili gratuitamente sul sito, spaziano su vari temi soprattutto legati a società e rapporti interpersonali. Tra queste anche un racconto di Annie Zaidi, che uscirà con il suo Known Turf a gennaio per Metropoli d’Asia.

Autori

Nukila Amal
Il Drago Cala Ibi

 

Nabarun Bhattacharya | Wikipedia
Gli ammutinati di Calcutta

 

Tew Bunnag
Il viaggio del Naga | Cortina di pioggia

 

Brian Gomez
Malesia Blues

 

Xiaolu Guo
La Cina sono io | 20 frammenti di gioventù vorace | I nove continenti

 

Han Han | Wikipedia | Blog
Le Tre Porte | Verso Nord. unonoveottootto

 

 

Chan Ho Kei
Duplice delitto a Hong Kong

 

Shih-Li Kow
La somma delle nostre follie

 

Eka Kurniawan
L’uomo tigre

 

Park Min-gyu
Pavana per una principessa defunta

 

Cyrus Mistry
Le torri del silenzio

 

Shazia Omar
Come un diamante nel cielo

 

Amruta Patil | Blog
Nel cuore di smog city

 

Yeng Pway Ngon
L’Atelier

 

R. Raj Rao | Wikipedia
Autobiografia di un indiano ignoto

 

 

Omar Shahid Hamid
Lancio a effetto

 

 

Claire Tham
La ragazza del karaoke

 

Ayu Utami | Wikipedia
Le donne di Saman

 

A Yi
E adesso? | Svegliami alle nove domattina

 

Kim Young-Ha | Blog
Ho il diritto di distruggermi

 

Annie Zaidi | Blog
I miei luoghi

Known Turf nella shortlist del Crossword

La nostra Annie Zaidi è entrata con il suo Known Turf nella shortlist del Vodafone Crossword Book Award, il più importante premio letterario indiano, nella categoria non-fiction in inglese.

Le altre categorie riguardano la fiction, le opere tradotte e i libri per bambini. Tutti i libri selezionati in ciascuna shortlist saranno ora sottoposti al voto popolare, che decreterà il vincitore.

B-novels dall’India

Blaft è l’editore più innovativo dell’intera nazione indiana. Due anni fa fece parlare di sé con la prima antologia di “pulp fiction” Tamil tradotta in inglese, dove per pulp si intende il suo significato originario: la carta da poco con la quale si stampano i romanzetti di grande circolazione e bassisimo prezzo , tutti regolarmente nelle lingue locali, di cui gli indiani vanno ghiotti.

Come se ci fosse un circuito narrativo di serie B (e delle serie B conosciamo il valore ovunque nel mondo). Blaft ha tradotto in inglese gialli dall’Hindi, fantascienza dal Tamil, e ora ecco la serie Jasusi Duniya di Ibne Safi, che ha fatto la storia della narrativa popolare Urdu, in una recensione della nostra Annie Zaidi (ripresa dal suo blog). La cosa più straordinaria di Blaft? Le loro copertine, sopratutto dove rirpendono le copertine dell edizioni originali.

Donne in India

Viene a trovarmi in ufficio Urvashi Butalia. È a Milano per l’inaugurazione della mostra Women Changing India, di cui ha pubblicato il catalogo, tradotto anche in italiano, con dei begli interventi di scrittrici note e meno note tra cui la nostra Annie Zaidi, che racconta di una visita a un progetto di microcredito [pdf].

Tanta parte dell’editoria indiana è fatta da donne, ma la sua Zubaan è qualcosa di più: Urvashi è un centro di relazioni, a Delhi. In Italia già sono apparse, dal suo catalogo, Selma, Bulbul Sharma, Baby Helder, e la nostra Shazia Omar. Anjum Hassan, nota più per i suoi interventi su The Caravan ha esordito con lei.

Zubaan è una delle case editrici indipendenti indiane più attiva, un successo anche in termini economici, al punto da riuscire a trovare un legame costante con il gigante Penguin, di cui cura una collana.

Un unico neo: pubblica solo romanzi di donne. Perché, Urvashi? Avresti la forza per importi come editore indipendente di grande risalto se ti aprissi alla narrativa senza distinzioni di genere. È l’editore giusto per intercettare voci giovani, nuove promesse. Dice: è questo ilnostro marchio di fabbrica, non posso tradire il mio pubblico.

Vedremo. A proposito: sta cercando un editore per il catalogo in Italiano (con testi e foto Magnum già acquisite). Si faccia avanti qualcuno.

Annie Zaidi e la società indiana

Segnaliamo un interessante articolo autobiografico di Annie Zaidi, scrittrice e giornalista indiana, che racconta la sua crescita, le scelte di lavoro e la vita di una ragazza non sposata nell’India che cambia:

Quindici anni fa abitavo in un paesino nell’India del Nord. L’unico evento degno di nota era una festa in cui i bambini montavano in groppa ai cammelli e mangiavano torte al cioccolato. Mia madre insegnava, avevamo dovuto lasciare Delhi per quel posto sperduto. Lì ero davvero unica: nessuna delle mie compagne di scuola aveva una madre con un lavoro, o che si fosse trasferita da qualche parte senza il benestare del padre. O che portasse camicette a maniche corte, sari di chiffon e tacchi a spillo. Era l’unica che non aveva tempo per cucinare. Era la sola a insistere perché gli studenti imparassero a dipingere, ballare, cucire e cucinare. Anche i maschi.

(continua a leggere su marieclaire.it)

Annie Zaidi sarà anche protagonista, insieme ad altre donne indiane, della mostra fotografica Women Changing India, allo Spazio Forma di Milano dal 26 maggio al 19 giugno.

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