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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post in cui compare la parola "han han"

Le parole “delicate” del cinese e il loro lessico

China Digital Times parla della “parola della settimana”, in questo caso “porcellana delicata”, ma quello che più conta è che è una di quelle provenienti dal Grass-Mud Horse Lexicon, che si potrebbe tradurre come il “lessico dell’alpaca”, ma c’è anche qui tutta una storia per la quale rimandiamo all’apposita pagina su Wikipedia.

Si tratta di una specie di linguaggio parallelo e allegorico per aggirare la censura. La cosa interessante da vedere è l’archivio di tutte queste parole e espressioni, curato dallo stesso China Digital Times.

Della questione delle sensitive words aveva indirettamente parlato anche Han Han, quando era stato candidato e poi inserito nella lista delle persone più influenti del pianeta secondo Time.

Han Han su Shifang

Han Han ha scritto un post sulle proteste di Shifang, legate l’apertura di una industria chimica potenzialmente inquinante.

L’autore critica la polizia del governo per aver disperso la folla violentemente, ma è interessante un passaggio in cui paragona il popolo cinese a delle aragoste: si adattano a qualsiasi circostanza, e anche se hanno dei potenti artigli sono facili da pugnalare alle spalle. Sorprese, indietreggiano, e finiscono nelle tavole dei ricchi e dei potenti che dicono: non male, forse un po’ piccanti.

Questa volta, però, le aragoste si sono difese bene perché a quanto pare hanno impedito i lavori.

Per approfondire: China takes aim at rotten regions (Asia Times Online)

Pensierini asiatici: sull’identità delle classi medie

Il nostro Chan Ho Kei (occhèi, occhèi…), con la sua passione per le amnesie dei suoi personaggi, fa venir voglia di ragionare un po’ sulla questione dell’identità. Più di quanto sia successo a noi in una storia recente la generazione dei trenta quarantenni si confronta con scenari nuovi, e sperimenta sicuramente una rottura con il passato (forse con le visioni del mondo dei propri genitori).

Zheng Yu Ran è una giovane cinese, che si è precipitata a incontrarmi in un ristorante del 697 (il quartiere degli artisti di Pechino) al volante di una Mini fucsia, di quelle con le orme da cagnolone disegnate sul cofano e un grosso orsacchiotto di peluche sul sedile posteriore. Zheng Yu Ran scrive fantasy: eroi con gli spadoni capaci di spostarsi nel tempo e nello spazio. Uno dei suoi punti fermi sono le porte che si aprono su realtà parallele: oltre i confini della realtà, dunque.

Intimidita dalla presenza di uno straniero (parlava come se stesse stringendo a sé l’orsacchiotto) mi diceva con grande naïveté che loro, i giovani della Cina contemporanea, hanno alle spalle una letteratura profondamente legata al reale: sia esso immaginario come ai tempi del realismo socialista, sia esso veritiero come nel caso delle ultime due generazioni di scrittori: che sentono l’urgenza di rimasticare la Rivoluzione Culturale e i suoi orrori e traumi, così come la fine anni Ottanta e la repressione culminata con Tienanmen.

(continua…)

Han Han a Taiwan

Senza pubblicizzare la cosa fino all’ultimo momento, Han Han si è recato a Taiwan per partecipare a un Forum organizzato dalla rivista Yuan Jian.

Con l’occasione, Han Han ha incontrato anche il presidente di Taiwan Ma Ying-jeou. Ecco qui in basso un resoconto più dettagliato in traduzione da questo articolo:

Il noto scrittore cinese Han Han si trova a Taiwan per la prima volta per partecipare a un Forum indetto dalla rivista Yuan Jian. Il presidente Ma lo ha accolto personalmente sottolineando il piacere di incontrarlo. Nel 2010 Han Han è stato eletto dal “Time” una delle persone più influenti del pianeta. Viene considerato blogger di fama acclamata e opinion leader di spicco in Cina continentale. Questo suo viaggio è stato mantenuto segreto, temendo che la notizia del suo arrivo a Taiwan potesse creare dei problemi.

Lo scrittore Han Han si è presentato al palazzo presidenziale con una giacca presa in prestito, una camicia non abbottonata completamente e con ai piedi un paio di scarpe casual marroni, per un appuntamento con il presidente Ma Ying-Jiu. Opinion leader di fame conclamata, è stato accolto dal presidente stesso con una stretta di mano e con le parole “è un piacere, ho sentito parlare molto di lei”.

Il presidente Ma ha poi aggiunto: “milioni di cittadini cinesi possono vedere su Internet lo svolgimento e i risultati delle elezioni presidenziali e legislative di Taiwan”.

Per quanto l’incontro fosse abbastanza informale, non è stato reso noto fino all’ultimo momento. La rivista Yuan Jian, che ha indetto il Cross-Strait Dividend Forum, ha funto da intermediario organizzando l’incontro del presidente con i partecipanti al suddetto Forum. Il nome di Han Han assieme ad altri partecipanti è stato mantenuto segreto fin dopo l’incontro con il presidente, il quale, all’arrivo di Han Han, ha detto che l’autore avrebbe sicuramente avuto molte idee da condividere con tutti i presenti.

Proprio nel momento critico del caso di Chen Guangcheng nella Repubblica Popolare Cinese, l’entourage presidenziale e lo scrittore stesso hanno preferito non divulgare troppo la notizia per non creare ulteriori scompigli.

Un’intervista a Han Han

Il Financial Times ha incontrato di recente Han Han (autore con Metropoli d’Asia di Le tre porte).

Nell’intervista si parla approfonditamente di diversi aspetti legati alla politica e alla possibilità di riforme in Cina, e come spesso accade è anche ricca di una serie di elementi di contorno.

Una rivista, un intellettuale, una rivolta: da rivedere a Londra, domani

Ou Ning mi spaventa una sera a cena, dichiarandomi l’intenzione di cercare un incontro con Toni Negri quando visiterà Parigi, in aprile. Di tanti, proprio lui? Provo a spiegargli i danni (eufemismo) fatti nella seconda metà dei Settanta da questo ineffabile professore, che lasciò dietro di sé una scia di delitti e qualche migliaio di ragazzotti in galera, e si accomodò poi nella bellissima Parigi.

Gli dico anche: ecco, se devo fare un paragone, per la sua arroganza e violenza, per il disprezzo dell’avversario e per il fanatismo, Negri mi fa pensare alla vostra Rivoluzione Culturale: che fu ribellione contro la burocrazia, ma presa dal lato sbagliato (eufemismo).

Ou Ning (che come tanti nel mondo lesse Impero, bigino e instant book no global del professore, che mettendo in fila buoni pensieri elaborati da altri migliori di lui si vide così moltiplicata d’acchito la quota di mercato), mi capisce: certo, dice, prima di scrivere del presente, avrebbe dovuto “chiedere scusa per il passato” (locuzione che immagino sia una traduzione abborracciata nel suo inglese scarso del “fare autocritica” in cinese).

Perché la ribellione che cerca Ou Ning è sicuramente differente. La sua Chutzpah (qui c’è anche una sua buona biografia) è una rivista di letteratura pura, nonostante il nome (parola che in yiddish significa “insolente”, o “faccia tosta”, e che lui riproduce senza però una particolare vocazione alla storia dell’ebraismo: lo fa così, gli piace il termine).

Intende portare all’attenzione del pubblico (in parte internazionale perché al suo interno l’inserto Peregrine traduce ogni volta tre o quattro racconti in inglese, dei trenta che Chutzpah presenta in cinese) la generazione di quarantenni, a suo dire schiacciati tra i più vecchi nomi noti dell’editoria internazionale (ad esempio Mo Yan, e poi a cascata Yu Hua, Yan Lianke, Su Tong, Bi Feyu) e la generazione del giovanissimi, mezza sesso e rock and roll, mezza blog (tra parentesi, Ou Ning mi parla malissimo di Han Han, che secondo lui è una versione edulcorata del potere, un ribelle di facciata, e quando invece gli chiedono chi sia il migliore scrittore cinese contemporaneo dice senza esitazione: Zhu Wen! Come a dire: Metropoli d’Asia ha il meglio e il peggio).

La generazione che interessa a Ou Ning è quella nata nei primi settanta: la sua, che da giovanissima ha visto le timide aperture della censura nella seconda metà degli Ottanta, e si è poi schiantata contro la repressione di Piazza Tian an Men.

E questa generazione oggi osserva e rendiconta con favore ciò che si muove nel paese di mezzo, su tutte la ribellione di Wukan: una cittadina intera che scende in piazza contro la corruzione dei dirigenti di partito locali.

Ou Ning quindi, che è stato a Milano ospite del Festival del Cinema Africano, d’Asia e d’America Latina, cerca incontri con i ribelli d’Europa (da un punto di vista intellettuale, certo): a Roma andrà al Teatro Valle Occupato, a Parigi s’è detto, a Milano Stefano Boeri gli promette un incontro coi Wu Ming che però non si realizza. Dopo il rush milanese, purtroppo, parte in fretta per Londra (e chi incontrerà laggiù?).

Io passo quindi qualcuna delle mie giornate a ruminare, in ritardo: ma chi avrei potuto presentargli, io? Cosa avrei potuto dirgli? Come indirizzarlo su intellettuali, scrittori, artisti consci del fatto che le ribellioni e le rivoluzioni comportano sempre un pericolo: non solo l’eterogenesi dei fini, ma banalmente la costruzione di leaderships orrende (i miei conoscenti fine anni Settanta in Italia si dividono grosso modo in due gruppi: quelli che hanno sfiorato la criminalità politica e si sono adagiati su un proprio fallimento, e quelli che direttamente si impiegarono a Mediaset; schematizzzo, è ovvio: ma come si fa a fomentare una ribellione che in sé contenga i germi del meglio e non del peggio? This is the question). Discorso che vale per tutti i no Tav nostrani, e grillini, o chissà che.

Eppure lui, loro, gli elementi per starci attenti ce li hanno: appunto, la Rivoluzione Culturale, quando Mao diceva “la rivoluzione non è un pranzo di gala”, e il risultato furono orrori e vite spezzate, in cambio di nuovi equilibri negli apparati dirigenti (tipo: un Berlusconi al posto di un Andreotti, un Bossi al posto di un Almirante o di un Toni Negri, magari un Di Pietro al posto di un D’Alema, e chissà cosa ci riserva l’oggi). Ou Ning, vorrei dirgli: perchè il rappresentante dei ribelli in Cina è stato Bo Xilai (oggi silurato), che dichiarava di rifarsi all’ortodossia maoista?

E di nuovo: chi gli faccio leggere? Chi gli faccio incontrare? Un manciata di nomi: Colin Ward, ma crederete mica che basti. E a Roma avrebbe potuto incontrare Pascale, Piccolo, quelli de Lo Straniero, forse. E sopratutto: io chi incontro? Chi si ribella sapendo nessuna Causa giustifica nessuna Schifezza, che le rivoluzioni non riguardano i fini, ma i mezzi? Ou Ning, questo potrebbe essere il vostro ruolo: prevedere e precedere la degenerazione dei movimenti, mettere in guardia fin d’ora.

Ma ora: pausa. Questo post poteva avere un altro incipit. Avrei scritto:

Ou Ning, a Pechino, una sera a cena mi racconta dei suoi anni ottanta. “Eravamo giovanissimi, e allora chi poteva viaggiare in Cina era fortunato. Se arrivava a Pechino qualcuno da Nanjing, passavamo le nottate a parlare di filosofia, di letteratura. Bevevamo. Alla fine ci conoscevamo tutti, poche centinaia di ragazzi usciti dalle università, ci sembrava che il futuro fosse a un passo. Il primo Deng Tsiao Ping aveva aperto il nostro paese: improvvisamente si discuteva senza paura.” Mi dice: si fumava tantissimo.

Quando provo a domandargli di Piazza Tian an Men, come al solito svicola. Fa finta di non sentire la domanda: l’ho capito, puoi essere ovunque, Pechino, Milano, o Singapore, puoi essere davanti a un pubblico con un microfono in mano o davanti a una salsiccia, io, lui, e la sua fidanzata, ma è sempre la stessa cosa: di quello non si parla. Criticare la Rivoluzione Culturale è possibile, e il potere, la corruzione, i singoli leader di partito, o la manutenzione ferroviaria e la distruzione dei generi alimentari. Ma silenzio sulle three T (Tian an Men, Tibet, Taiwan) one F (Falun Gong). E quando gli chiedo di Wukan, della rivolta di una cittadina intera, lui svicola: e, appunto, si finisce su Bo Xilai.

Insomma, ribelli con il limite: ribelli davvero.

Bello: questo sì un ponte tra l’Occidente e l’Oriente, loro e noi alle prese con una rivolta, e con la necessità di farle partire con il piede giusto, ciascuno con un passato che di riferimenti è pieno.

PS: Berardinelli sul domenicale del Sole24 la settimana scorsa, dentro a un articolo fortemente condivisibile, scriveva: in occidente oggi avremmo bisogno di un Lenin, o forse di un Ghandi. Hmm…: ma non dovremmo cercarci di meglio, noi e i cinesi?

PPS: con Ou Ning ci siamo dati appuntamento il più presto possibile, a Pechino. Sperando di trovarlo libero e non blindato…

E domani a Londra!

Foto: Alessandra Vinci

 

 

Han Han su GQ

Un lungo approfondimento del mensile GQ su Han Han, nel quale si parla della sua vita e dei suoi rapporti con il potere, e si cita ovviamente anche Le tre porte, uscito con Metropoli d’Asia pochi mesi fa.

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Han Han nell’occhio del ciclone

Il suo detrattore definisce Han Han con un epiteto da Rivoluzione Culturale: falso idolo. Basta questo per capire da dove proviene l’ultima campagna di diffamazione nei confronti del giovane scrittore di Shanghai, di cui Metropoli d’Asia ha pubblicato Le tre porte (e altro ancora verrà presto…).

Al di là dell’identità di chi lo attacca (Fang Zhouzi, un blogger famoso per le sue campagne in difesa della proprietà intellettuale, e qui forse in cerca di notorietà), è chiaro che Han Han è sotto attacco.

Le sue posizioni di critica politica e sociale sono una spina nel fianco dell’establishment e gli hanno guadagnato milioni di seguaci (o almeno di followers sul blog), e il modo migliore per cercare di demolire il falso idolo è mettere in dubbio la legittimità del suo ruolo di romanziere: viene così accusato di non essere l’autore dei suoi romanzi che sarebbero stati invece scritti dal padre (sic!) un romanziere e critico poco noto. Come a dire ai giovani cinesi che a migliaia ogni giorno seguono i suoi post: altro che giovane ribelle!

Fatto è che questo attacco viene a ridosso di una serie di critiche piovute sul capo del nostro Han Han proprio da alcuni dissidenti: nei suoi recenti tre saggi, Han Han esprimeva delle posizioni che molti hanno definito troppo moderate.

In sostanza, presentandosi per la prima volta con lo status del leader che negozia col potere, Han Han si diceva disposto a rinunciare alla critica per l’assenza di democrazia formale in Cina (lui ha senpre dichiarato: rispetto la Costituzione, è cioè: non contesto il regime a Partito Unico), pur di vedere garantito per sè e per tutti il diritto di libera espressione.

In sostanza: d’accordo gente, non chiedo la democrazia, ma pretendo di poter dire ciò che mi pare e piace sui vostri misfatti. Anche Ai Weiwei aveva criticato la sua posizione, che a me invece sembra dettata dal realismo (e dalla capacità di essere leader riconosciuto, cosa che purtroppo Ai Weiwei non è, restando confinato nell’empireo delle elite intellettuali) e da una innata vocazione a essere leader di massa (mio dio: termine maoista?).

Adesso arriva l’attacco. Una tenaglia: non lasciamolo solo, lui è uno dei pochi che non se ne andrà in esilio in occidente a farsi applaudire dai nostri media, ma resterà a dare filo da torcere al regime.

Han Han su La Freccia

Super Nice, un nuovo magazine dalla Cina

Si continuano a muovere le cose sulla scena dell’editoria periodica cinese, con un nuovo magazine chiamato Super Nice. Dopo un numero di prova lo scorso agosto, incentrato sulla “suspence fiction“, le nuove uscite hanno ora un approccio più generalista e mirano a promuovere scrittori che scrivono su Internet per farli entrare nei canali tradizionali.

Come ricorda Paper Republic, la pubblicazione nasce sull’onda e sull’ispirazione della rivista Party, fondata da Han Han e chiusa dopo un numero.

shamsi.elroy@mailxu.com torrence@mailxu.com