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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Tutti i post in cui compare la parola annie zaidi

Annie Zaidi e la chick lit

Annie Zaidi, autrice per Metropoli d’Asia di I miei luoghi, racconta di una recente visita in una libreria per cercare il suo ultimo romanzo, Love Stories # 1 to 14. Le è stato chiesto se volesse che il suo libro fosse spostato dal reparto “letteratura indiana” a “letteratura rosa”, e da lì parte un’interessante riflessione sulla cosiddetta chick lit, e sulla diversa considerazione di cui godono gli uomini che si occupano degli stessi temi.

Un’intervista ad Annie Zaidi

Un’intervista di Book Chums ad Annie Zaidi, nella quale parla del suo lavoro di scrittrice e giornalista, realizzata in occasione dell’uscita del suo ultimo libro Love Stories # 1 to 14. Annie Zaidi è autrice con Metropoli d’Asia di I miei luoghi.

Annie Zaidi su Il Sole 24 Ore

Domenica, il supplemento culturale de Il Sole 24 Orededica un articolo a I miei luoghi, di Annie Zaidi.

Cittadine dove si contano più armerie che spacci di generi alimentari. Banditi che anche dal carcere continuano a comandare come se fossero in libertà. Scalcinate corriere dove è esposta la preghiera di «non portare armi cariche a bordo». Siamo in India, nella regione del Chambal, dove imperversano i «dacoits», banditi senza pietà responsabili di centinaia di omicidi ogni anno.

(continua a leggere su Il Sole 24 Ore)

Annie Zaidi sull’importanza di non arrendersi

Segnaliamo l’ultimo articolo di Annie Zaidi (autrice di I miei luoghi con Metropoli d’Asia) nel quale parla di alcune storie di eroismo e duro lavoro individuale, ance di fronte a contesti urbani difficili.

Annie Zaidi su Rolling Stones

Un articolo di Rolling Stones su I miei luoghi, di Annie Zaidi.

I miei luoghi su Indian words

I miei luoghi, di Annie Zaidi, sul sito Indian words.

I luoghi di Annie Zaidi sono i luoghi di un’India un po’ insolita, di un’India meno conosciuta e meno urbana di quella di cui di solito leggiamo.
Il Punjab, il Madhya Pradesh delle popolazioni tribali, il Chambal dei banditi.
Ma il pregio di questo reportage è quello di essere un viaggio molto personale in questi luoghi, che unisce l’abilità di una giovane giornalista indiana a una forte partecipazione emotiva, senza mai nascondere (né ostentare) una certa fragilità.
A differenza di altri reporter, che pure mi piacciono, qui mancano – finalmente – l’eroismo da una parte e la finta modestia dall’altra.

L’India dei conflitti

Venerdì scorso Internazionale ha tradotto e pubblicato un lungo articolo di Arundhati Roy da Outlook India, sull’India dei conflitti: da un lato le cinquanta famiglie più ricche del paese, dall’altro mezzo miliardo e passa di contadini poveri e abitanti degli slum, che dello sviluppo economico impetuoso beneficiano poco assai, divenendo invece le vittime delle frequenti espulsioni di massa, naturalmente senza indennizzi, da terreni che poi verranno sfruttati per l’estrazione mineraria o per la costruzione di impianti industriali: ed è vero, sì, che tutto ciò produce posti di lavoro e salari, ma sempre a lungo termine.

Insomma, non è certo che lo sviluppo vada a benificio dei ceti più poveri, di sicuro non in quest’India ostaggio delle oligarchie economiche. A parte l’utilizzo a piene mani del vocabolo “capitalismo” (che a me pare come se tutte le volte si ricordasse che gli umani respirano) la critica coglie nel segno.

E allora consiglio la lettura del suo ultimo libro (In marcia con i ribelli), uscito con Guanda: rispetto al nostro I miei luoghi di Annie Zaidi, i libri della Roy sono più sistematici, mentre Annie Zaidi resta magistralmente piu’ vicina all’oggetto del suo sguardo: dove la Roy spiega, la Zaidi splendidamente racconta, e ciascuno scelga a seconda delle sue preferenze, perché poi l’oggetto della ricerca è sempre lo stesso.

Una cosa mi piace segnalare dell’articolo di Arundhati Roy: anche lei sostiene che le polemiche sollevate attorno al Festival di Jaipur per il boicottaggio a Rushdie hanno avuto solo l’effetto di sottrarre l’attenzione del pubblico dai temi reali che al Festival si andavano trattando: l’India dei conflitti, appunto. E la polemica di Arundhati ha un bersaglio: molta della cultura indiana, e il Festival di Jaipur tra tutti, è vastamente sponsorizzata dai megagruppi indistriali indiani. A Jaipur perfino l’ufficio stampa del Festival aveva uno sponsor di tal fatta…

Insomma: agli amici che avevano criticato certi miei post da Jaipur, e molti tweet, nei quali io dicevo lo stesso (parliamo dell India, e non di Rushdie!) adesso posso dire: visto? Non sono il solo a pensarla cosi. Insomma: mi sento meglio.

A tutti dico: leggetevi Tehelka, che e sempre online: è cosi si che si capisce l’India.

Foto: Satish Krishnamurthy

Annie Zaidi sulla rivista del Touring

Touring di questo mese segnala I miei luoghi, di Annie Zaidi.

Annie Zaidi su Il Foglio

Acquista qui il libro

 

L’8 marzo di Annie Zaidi, su China Files

Ieri China Files ha realizzato uno specialone per la Giornata internazionale della donna (aka Festa della donna). Si intitola Altre donne e raccoglia una serie di storie legate a diversi paesi dell’Asia.

Per quanto riguarda l’India, è stata proposta una lunga intervista ad Annie Zaidi nella quale sono stati toccati diversi temi legati alla situazione delle donne nel paese. Inoltre, è stato pubblicato un estratto da I miei luoghi, il reportage di Annie Zaidi appena pubblicato da Metropoli d’Asia.

D: Le donne in India subiscono quotidianamente discriminazioni e molestie, anche nella vita di tutti i giorni. Pensi che, nonostante tutte le differenze di casta, religione, ricchezza e status sociale, esista un tratto comune in grado di unire tutte le donne in India nella loro condizione? Pensi che ci sia un terreno comune dove tutte le donne indiane sentono di far parte di un gruppo specifico?

R: Questa è una domanda difficile. Credo che l’identità nazionale (così per come ladefiniamo) sia un concetto poco compreso, specialmente quando le persone sono divise e si dividono ancora in base a caste, religioni, classi sociali e così via. Se chiedi a una donna tribale illettarata che vive in un’area remota cosa significa essere una donna indiana, cosa risponderà? Lei a malapena sente la presenza dello stato indiano, a meno che non abbia beneficiato di particolari programmi statali, o altro, oppure può esser stata traumatizzata da altre forze che possono essere statali o meno, ma che lei comunque qualifica come “indiani”.

Oltretutto, moralità, norme sessuali, matrimonio e aspettative lavorative differiscono da una comunità all’altra.
Ci sono molte somiglianze, naturalmente. Una larga gamma di classi e caste sono aggrovigliate in quello che possiamo chiamare ‘mainstream’, la corrente tradizionale. Condividono i valori e i problemi che chiamiamo “indiani”. Ma fino a poco tempo fa c’era una grande diversità e, anche ora, le cose sono in continuo mutamento.

(Continua a leggere su China Files)

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