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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Andrea Berrini intervistato da Prima comunicazione

La rivista Prima comunicazione ha dedicato un’intervista ad Andrea Berrini, fondatore di Metropoli d’Asia, parlando di come è nata la nostra casa editrice, del suo attuale catalogo, e dell’attività di scouting diretto nei paesi asiatici, elemento caratteristico fin dai suoi esordi. Vengono ricordati anche gli interventi su Doppiozero, nella rubrica Le parole dell’Asia.

Nella prima parte dell’intervista si è parlato di CreSud, società di microcredito specializzata nei paesi del Sud del Mondo, ugualmente fondata da Andrea Berrini. L’idea di Metropoli d’Asia è nata proprio a seguito di un viaggio di lavoro in India legato a CreSud.

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

Tirò fuori dalla tasca un fazzoletto e, dopo averlo arrotolato in una bella striscia rettangolare, lo portò agli occhi del ragazzo.
«Che fai?», sbottò lui.
«Ti bendo», rispose tranquillo Yudi. «È giusto una precauzione. Lo faccio sempre con i miei partner. Perché non sappiano in che palazzo abito. E se poi tornano il giorno dopo per ricattarmi?».
Yudi si pentì di aver usato la parola «ricattare» nel preciso istante in cui l’aveva pronunciata. Era come mettere strane idee in testa alla gente.
«Ti sembro un ricattatore, io?», chiese il ragazzo, offeso.
Era buffo vederlo camminare bendato, la mano destra nella sinistra del compagno.
«Non ho detto che tu sei un ricattatore», spiegò Yudi. «Mi piace essere super prudente, tutto qui. In inglese si dice “prevenire è meglio che curare”».
Erano arrivati nella via in cui viveva sua madre, nel secondo palazzo a sinistra. Un anziano sindhi che portava soltanto camicie bianche e pantaloni neri e che abitava due piani sopra la madre, stava salendo in macchina. Conosceva Yudi sin da bambino, quando viveva con i genitori, e aveva sempre pensato che gli mancasse qualche rotella. Ciononostante, vederlo accompagnare nel palazzo un tizio bendato era una stramberia che andava al di là di ogni possibile spiegazione. Squadrò Yudi. Che significa?, chiedeva la sua espressione corrucciata.
«Il mio domestico», spiegò Yudi. L’ho portato all’ospedale di Bombay per un’operazione alla cataratta. Capita».
«Quando torna tua mamma?», sospirò il signore, mettendo in moto la Fiat.
«Fra un paio di giorni», disse Yudi, e si allontanò in fretta.
Entrò con il ragazzo nella Pherwani Mansion (così si chiamava lo stabile). Schiacciò il pulsante dell’ascensore, che per fortuna arrivò vuoto senza altri vicini indiscreti. Vi spinse dentro il ragazzo, chiuse la porta a soffietto in gran fretta e salì al terzo piano.
«Hai detto che sono il tuo domestico?», chiese il ragazzo nel breve intervallo in cui l’ascensore andava dal primo al terzo piano.
«Solo per chiudere il becco a quel grassone di un sindhi», rispose Yudi.
«Lo sa di te?»
«Non ne ho idea. Non è che la gente vada in giro a dire: “Ah, so tutto di te, dei bei maschioni che ti scopi nell’appartamento di tua madre mentre lei non c’è”».
Il ragazzo rimase in silenzio. Non gli andava che lo chiamassero «bel maschione». Non gli piaceva nemmeno che Yudi usasse la parola «scopare». Yudi aprì la porta dell’appartamento e lo accompagnò nel salottino. Gli sbendò gli occhi e gli portò un bicchiere d’acqua.

Da Il mio ragazzo, di R. Raj Rao

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Il 21 giugno a Milano: Gay made in India. Incontro con lo scrittore R. Raj Rao, in collaborazione con il Milano Pride

 

 

E adesso? segnalato da Tu Style

La rivista Tu Style ha dato spazio con una segnalazione a E adesso?, l’ultimo libro pubblicato da Metropoli d’Asia di A Yi, ricordando sia uno degli autori cinesi contemporanei più interessanti.


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Silvia Pozzi, traduttrice per Metropoli d’Asia, intervistata da agiChina

Silvia Pozzi, docente di lingua e letteratura cinese e traduttrice per Metropoli d’Asia, è stata intervistata da agiChina per parlare di Verso Nord. unonoveottootto, di Han Han. Si è parlato anche delle numerose differenze di linguaggio con il romanzo di esordio dell’autore cinese, Le tre porte. Infine, anche qualche suggerimento su altri autori e generi della letteratura cinese non ancora tradotti in italiano.

Che cosa l’ha colpita di più di “Verso nord unonoveottootto”?
Il romanzo si snoda lungo due piani temporali, quello dell’infanzia del protagonista, la voce narrante, e quello del viaggio in macchina con la prostituta Nanà. L’infanzia è raccontata non con rimpianto, ma quasi senza emozione, solo come una serie di ricordi cristallini. Ne emerge l’importanza dei rapporti di amicizia, valore tipicamente confuciano, un pezzo di sé che ci si porta nella vita. Il viaggio on the road è invece una fuga da qualcosa verso qualcosa che non si capisce bene: la meta non è certa, quel che è certo è che sembra sempre che si scappi. Anche se si tratta di una non-storia, in cui non succede nulla, quando si arriva alla fine del libro ci si accorge che il viaggio fatto con i protagonisti non è stato invano. Han Han, senza dare spazio alle emozioni, descrive azioni che lì per lì sembrano innocue, ma che poi ti lavorano dentro. Racconta in modo cinico la brutalità dell’essere umano, ma sotto la superficie fa filtrare una grande umanità. Rendendo ad esempio i due protagonisti, molto lontani tra loro per identità e per vissuti, molto complici.

(continua a leggere su agiChina)


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E adesso? recensito dal sito Bookmarks are reader’s best friends

Il blog Bookmarks are reader’s best friends ha dedicato una recensione a E adesso?, avendo la curatrice del sito partecipato come volontaria a Incroci di civiltà, dove l’autore A Yi era presente per parlare del suo libro. Partendo dalla trama del romanzo viene lanciata qualche riflessione sui temi proposti dal libro.

Prendendo spunto da un fatto di cronaca A Yi si mette nei panni dell’omicida adolescente e racconta non tanto i motivi che lo portano ad uccidere brutalmente una sua compagna di classe e a metterne il cadavere nella lavatrice, ma piuttosto la sua preparazione, l’attuazione del crimine e la sua successiva fuga, inseguito dalla polizia. Una vera e propria caccia all’uomo che non può che concludersi con la cattura dell’assasino, ma lui potrà spiegarci il perché delle sue azioni?

(continua a leggere su Bookmarks are reader’s best friends)


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A Yi su il Giornale

Su il Giornale si può leggere una recensione dedicata a E adesso?, di A Yi, l’ultimo libro pubblicato da Metropoli d’Asia. Si parla soprattutto della trama, con alcune osservazioni sullo stile dell’autore.


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Da La somma delle nostre follie, di Shih-Li Kow

I due uomini tornarono a bordo della mia barca improvvisata dopo una “ricognizione”, come la chiamavano loro. Avevo costruito l’imbarcazione con alcuni fusti per sostanze chimiche tagliati nel senso della lunghezza: tre metà unite con un cordino di nylon preso dai fili per il bucato di Beevi. Inoltre comprendeva uno scafo e una copertura fatta con alcuni rami e un vecchio ombrello a pois. Devan la manovrava con racchette da ping-pong inchiodate su manici di scopa.
La barca poteva trasportare due adulti di corporatura minuta. Leong era basso ma corpulento e temevo che l’imbarcazione non reggesse il suo peso. Con lui a bordo affondava di altri venti centimetri, ma resisteva e mi congratulai con me stesso per aver saputo realizzare una pseudoimbarcazione che galleggiava così bene.
Leong scese dalla barca e salì sulla veranda della casa di Beevi, con i pantaloni arrotolati fino alle ginocchia e la maglietta fradicia che intrappolava una sacca d’aria tra la pancia e il petto.
Gridò: «Salve salve, buongiorno buongiorno», per comunicare la sua presenza. Aggiunse: «Ho buone notizie per voi, gente. Abbiamo due cataste di assi di legno, larghe dieci centimetri e lunghe quindici. In tutto sono circa trecento».
«Quanto ci vorrà?» chiese Shan.
«Un giorno, credo. Ecco il piano: costruiremo partendo dalla casa qui dietro», indicò con il pollice, «fino a questa cucina. Poi continueremo da questa veranda diritto fino alla strada principale verso la collina».
«Ma partiamo domani mattina».

Da La somma delle nostre follie, di Shih-Li Kow

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Da Malesia Blues, di Brian Gomez

«Sta’ zitto e apri le orecchie, Joe. Io ho ventisei anni di esperienza nello spaccare le ossa di gente molto più grossa e più forte di te. E sono bravo, Joe. Cazzo se sono bravo. L’esperienza, come dici tu, è tutto. Ho smesso perché non mi piace più. Ma nel tuo caso, Joe, credo che mi potrebbe tornare la voglia.
«Quello che voglio che tu faccia ora è andare al microfono, visto che evidentemente essere al centro dell’attenzione non ti dispiace, a scusarti con i gentili clienti di questo bar per esserti comportato da stronzo rompicoglioni. Poi voglio che ti scusi con Terry per aver interrotto la sua esibizione. E infi ne, Joe, voglio che ti scusi con i Deep Purple per aver massacrato la loro canzone. E poi voglio che scendi da questo cazzo di palco. Ce la fai, Joe, oppure no?».
Mentre Pak Jam parlava, Joe sentì qualcosa di caldo sgocciolargli giù per i pantaloni. Non ci poteva credere. Avrebbe voluto correre via, ma non poteva andarsene così. Non c’entravano più Arun e Siva. Andassero affanculo, quei due. Erano le donne. Le donne lo stavano guardando. Doveva salvare la faccia almeno un po’. Cercò di pensare a una risposta brillante.
«E che cazzo pensi di fare se non scendo?», fu tutto quello che riuscì a dire, e rimase immediatamente deluso di se stesso.
«Ti slogo un pollice», disse Pak Jam. Cosa mi fa? si chiese Joe. Era l’idiozia più grossa che avesse mai sentito, eppure la specificità della minaccia lo terrorizzò. Cercò un’altra replica sagace.
«Ma vaffanculo, lah», disse, pentendosene all’istante. Il pugno di Pak Jam lo colpì dritto in bocca, e mentre crollava a terra Joe si sentì cascare di bocca due incisivi.

Da Malesia Blues, di Brian Gomez

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Kim Young-ha intervistato su Famiglia Cristiana

Kim Young-ha è stato brevemente intervistato da Famiglia Cristiana sul suo ultimo libro pubblicato da Metropoli d’Asia, Memorie di un assassino. Oltre che della storia del libro si è parlato anche delle sua ispirazioni.


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Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

Un giorno, dopo aver chiuso a chiave, come al solito, la porta del mio appartamento a Bombay, a Soul City, ed esser uscito sulla strada su cui affaccia il mio palazzo – strada che per l’appunto è un’arteria traffi cata – notai un gran quantità di gente andare a piedi da ovest a est, tutti nella stessa direzione, e dato che non avevo un granché da fare, e senza molte alternative del resto, visto che la folla, piuttosto numerosa, affl uiva con tale irruenza da impedirmi di andare altrove, mi unii a quello sciame e cominciai ad avviarmi senza avere idea di dove stesse andando e del perché; mentre camminavo, mi passarono per la testa un’infi nità di pensieri, e analizzandone la natura, scoprii che la maggior parte riguardava il desiderio di scoprire dove fosse diretta quella massa, congettura oziosa che mi occupava la mente, ma alla quale cionondimeno mi abbandonai, dal momento che tutto ciò ormai stuzzicava la mia curiosità: si stavano dirigendo a un comizio in un parco pubblico per ascoltare un pezzo grosso della politica? O si trattava piuttosto delle riprese di un fi lm in cui il protagonista era impegnato in una sequenza in cui cantava con la protagonista – o magari con un altro attore? O ancora, era possibile che fosse scoppiato da qualche parte un incendio gigantesco e che la gente volesse vedere con i propri occhi i danni causati dal fuoco? Intervenne poi un’altra parte del mio cervello a mettere in ridicolo quelle stupide ipotesi su comizi, set cinematografi ci e incendi, e accantonandole tutte, avanzò la sua teoria: se la gente camminava, era semplicemente perché non c’erano taxi né autobus a portarla in giro. E realizzando all’improvviso che effettivamente di autobus e taxi per strada ce n’erano pochissimi, concluse che era un bandh, un giorno di protesta contro questa o quella minaccia per la vita in città, come una rivolta o un’esplosione, evenienze piuttosto comuni al giorno d’oggi; malgrado il caldo, continuai a camminare, spintonato dalla folla che aumentava di minuto in minuto, e mentre mi muovevo le mie braccia oscillavano e sfi oravano i corpi di estranei, perlopiù di uomini, ma anche di donne, quelle poche al seguito del marito/fratello/padre/fi glio, e a volte mi trovavo a urtare parti sconvenienti come fi anchi, cosce e chiappe; siccome però la cosa non era intenzionale e dipendeva dall’enorme quantità di gente, nessuno aveva da ridire e continuava a camminare tranquillo; per spezzare il tedio di questa camminata senza meta, cominciai a spassarmela studiando i tratti fi sici della folla, piccoli dettagli come la curvatura della spina dorsale, lo spessore dei palmi delle mani, il grasso debordante dei fi anchi, o la sporcizia incastrata sotto le unghie, e il risultato di questo esercizio fu davvero illuminante, mi portò alla scoperta della sostanziale bruttezza del corpo umano, che in quel momento mi apparve assolutamente privo di grazia con quel modo che aveva di trotterellare qua e là sui piedi, senza preoccuparsi di apparire goffo a chiunque si desse la pena di guardarlo attentamente per fare paragoni; pensai che, messe a confronto, certe specie di animali come il cervo o il cavallo, note per l’agilità delle zampe, risultassero più evolute; mentre proseguivo con il passatempo di scrutare i corpi, così vicini ormai che si aveva l’impressione di essere avvolti dagli altri, e mi giravo di tanto in tanto per dare un’occhiata anche a quelli dietro di me, vidi teste con incipienti calvizie, piedi screpolati, narici pelose zeppe di moccio, e tanto altro ancora; presto, però, il mio senso dell’olfatto prevalse sulla vista e dopo una sorta di lotta interiore il primo ebbe, naturalmente, la meglio; come infatti fa notare un articolo recentemente pubblicato dal «Times of India», l’odore penetra nella parte emotiva del nostro essere molto più effi cacemente di quanto non facciano il suono o la vista: e infatti l’articolo parlava dell’olfatto come del più antico e misterioso dei sensi e proseguiva ricordandoci che era stato l’odore della madeleine inzuppata nel tè tiepido a far scrivere a Proust La ricerca del tempo perduto in sette volumi!

Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao

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