Di notte, il deserto può far paura. Il buio cala in un attimo sul paesaggio spoglio. La notte porta con sé un gelo che penetra fin nelle ossa. Ma la cosa più snervante è il silenzio. Il minimo rumore si amplifica a dismisura riecheggiando negli immensi spazi vuoti. Il latrato di uno sciacallo solitario risuona come una minaccia. La sparuta vegetazione proietta ombre sinistre mentre il vento, sibilando, solleva manciate di polvere che danzano eteree alla luce della luna. In un posto del genere, la mente inizia a giocare tiri mancini ai sensi. Ogni sagoma, ombra o rumore veicola una sensazione intrinseca di paura.
Ciò era vero in special modo per il gruppetto di poliziotti riuniti intorno al fuoco in un angolo particolarmente desolato del deserto di Nara. Avevano allestito il loro piccolo accampamento tra due costruzioni a un solo piano in mezzo al nulla. Per trovare la traccia di civiltà più vicina bisognava varcare il confine con l’India, a due chilometri di distanza. Anche le costruzioni erano fatiscenti, porte, finestre e infissi vari asportati da lungo tempo. Solo in una stanza, nel più grande dei due edifici, spiccava una nuova serie di lustre sbarre d’acciaio alla finestra. La strada che portava all’accampamento era poco più di un sentiero sterrato. All’ingresso c’era una vecchia insegna, che ormai penzolava dai cardini: identificava quel complesso come La Scuola di Zootecnica del Dipartimento forestale.
Da Lancio a effetto, di Omar Shahid Hamid