Non mi ci volle molto a scoprire che in India è piuttosto facile vivere su un treno. Per trovare cibo e amici ci si rivolge sfacciatamente ai compagni di viaggio. Si evitano facilmente i capitreno e il personale ferroviario in genere schizzando nel gabinetto ogni volta che compaiono. E se poi ci si fa crescere barba e capelli come poi alla fi ne feci io, se si indossano vestiti sciatti e sporchi, si fi nisce con l’essere scambiati per un sadhu e si riceve l’elemosina; in questo modo si può tirare avanti senza guadagnarsi da vivere.
Il giorno successivo, da Secunderabad feci ritorno dai genitori che trovai talmente in ansia da essere inclini al perdono. Ricominciai a frequentare l’università. Ero il fi gliol prodigo, ancora immaturo. Mi ci vollero molti più anni, durante i quali ci furono diverse false partenze, tentativi di mettersi su un treno e piantare in asso i miei genitori dopo una lite, per arrivare a trovare il coraggio di rinunciare alla vita domestica e diventare un vagabondo senza meta.
Da Autobiografia di un indiano ignoto, di R. Raj Rao
Posted by Metropoli d'Asia on dicembre 14, 2016
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