E’ il nuovo titolo di Metropoli d’Asia, in libreria da oggi. Accade che un editore si innamori, letteralmente, della scrittura di un autore. Così fu per i racconti di Dollari la mia Passione, e così è ora per questa storia di amori impossibili. Io credo che Zhu Wen sappia raccontare come nessuno la straniazione, la confusione mentale, forse addirittura lo sbalordimento delle nuove generazioni cinesi, individui soli di fronte a un mondo che non comprendono e che nessuno ha provato a spiegare loro. Lui, Zhu Wen, è uno di quegli autori che dopo Tien an Men decise di restare in patria nonostante la censura insieme agli altri del cosiddetto gruppo di Nanchino (qui, da Paper Republic, una buona pagina da cliccare tutta). Il progetto era quello di raccontare la società cinese con qualche buono slalom tra le maglie della censura (per esempio: evitare i temi caldi delle nazionalità – Tibet e Taiwan – e della strutturazione istituzionale a partito unico), senza però sconti: e quindi rendere le criticità di una transizione al ‘mercato’ che non migliora la relazione degli individui con la società nel suo complesso. Il manifesto ‘Duanlie’, ‘Rottura’, articolato in una serie di ironiche domande alla società letteraria ne è l’esempio.
Parla d’amore, questo romanzo. Data la stagione, però, io qui preferisco citare l’incipit della Terza Parte, Emozioni di Gennaio. Niente amore, niente spazzatura, ma molto Zhu Wen.
Il maestro alto e smilzo scrive alla lavagna fermandosi continuamente
a sfregarsi le mani, impacciate per il freddo come
fossero piedi. Il gesso si rompe di nuovo. Con noncuranza
getta il mozzicone rimastogli in mano e si gira affranto. Prende
un altro gesso dalla scatola e lo spezza in due usando una
mano sola, con gesto consumato. In quel momento si accorge
che tutta la classe sta allungando il collo a dismisura, fissandolo
con uno sguardo pieno di attesa. Trattenendo a fatica un
sorriso amaro annuncia: E va bene, un minuto. Immediatamente
nell’aula risuona un rumore folle di piedi battuti a terra,
i bambini sono in visibilio. Il maestro alto e smilzo si mette
accanto alla porta e guarda l’orologio, poi scruta con aria inquieta
al di là del vetro. All’improvviso stende il braccio, e il
battere dei piedi si zittisce di colpo come se fosse stato tagliato
con un coltello. Alcuni bambini tirano un respiro profondo,
fissando il maestro con aria interrogativa, poi posano pian
pianino i piedi sospesi a mezz’aria. Dal pavimento si alza una
nube uniforme di polvere che arriva all’altezza dei banchi:
guardandola in controluce nell’aria rossastra del tardo pomeriggio
la si vede depositarsi adagio, come se fosse acqua.
Spingendosi compiaciuto gli occhiali sul naso, il maestro alto
e smilzo ordina: Continuate. Rimbomba un battere di piedi
ancora più folle: il livello della polvere, dopo essersi stabilizzato,
ricomincia dolcemente a salire. Gli occhi del maestro
alto e smilzo controllano l’orologio e quando arriva il momento
stende il palmo con gesto deciso. Il rumore, natural-mente, si ferma: stavolta, però, un bambino è in ritardo di una
mezza battuta, al che tutta la classe scoppia in una risata fragorosa.
Un ragazzino cicciotto con una giacca rossa di piuma,
seduto nel mezzo con la faccia paonazza, si alza in piedi imbarazzato
e va spontaneamente a mettersi in fondo all’aula.
Il maestro alto e smilzo scaccia con la mano la polvere che gli
svolazza davanti agli occhi, come farebbe con un insetto, si
dirige con espressione severa verso la cattedra e torna a impugnare
il gesso. Sta per girarsi di nuovo verso la lavagna,
quando improvvisamente addita una bambina seduta in prima
fila, che se ne sta lì con aria attonita.
«Perché non battevi i piedi come tutti gli altri?».
La bambina ha un brivido, la faccia le diventa ancora più
pallida e non spiccica parola.
«Sto parlando con te. Perché non battevi i piedi?».
La bambina continua nel suomutismo, e per di più abbassa
la testa.
«Alzati».
Lei si alza adagio ma continua a tenere la testa bassa.
«Perché non battevi i piedi? Rispondimi».
«Perché non ho freddo ai piedi».
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