Da La Cina sono io, di Xiaolu Guo

Il padre di Jian è il segretario amministrativo dell’Assemblea dei Rappresentanti del Popolo di Pechino. Il giorno della conferenza annuale, decide di portare il figlio in ufficio con sé. Mentre suona la campana della Dongcheng Tower dietro l’ufficio di suo padre, cominciano ad arrivare nella sala conferenze centinaia di delegati con i loro lucidi completi scuri e le loro lucide facce accaldate. Il padre di Jian gli ordina di stare tranquillo e di restare in cucina, dove i cuochi preparano tè e cibo. È una giornata torrida, e i calzoncini di cotone gli si incollano dietro le cosce. Fa i compiti e aspetta. E aspetta. Due ore dopo, però, Jian si annoia a morte. Riesce a passare sotto il naso del guardiano che doveva tenerlo d’occhio e scappa dal cancello dell’Assemblea. Vagando tra i vicoli sonnacchiosi, il ragazzino di dieci anni prova la libertà e lo smarrimento di un cane randagio. Vede una banda di ragazzi più grandi in sella alle bici e vuole unirsi a loro, che lo accettano. È il solito gioco di guerra che i ragazzi fanno spessissimo nelle strade di Pechino: soldati cinesi contro soldati americani nella guerra di Corea. Jian si unisce al gioco un po’ tardi, perciò gli viene assegnato il ruolo di un contadino coreano che sta ai margini. Lui però si rifiuta. Si annoia, ha caldo e vuole schierarsi nel conflitto. Chiede di unirsi al gruppo dei soldati cinesi. Tuttavia, per essere assegnato a una unità, deve ricevere una funzione e, cosa più importante, recitare il “Giuramento del soldato”. Jian è negato per queste cose, ma è impaziente di provarci. Alzando il pugno destro chiuso, parla forte come un vero soldato: «Sono un membro dell’Esercito di Liberazione Popolare. Giuro che seguirò le direttive del Partito comunista cinese, servirò il popolo con tutto il cuore, obbedirò agli ordini, lotterò eroicamente; in nessuna circostanza io…». A questo punto Jian non riesce a ricordare i versi successivi, quelli cruciali sul tradimento della propria madrepatria. Lo prendono in giro. Macchiato dall’umiliazione, deve fare la parte di un soldato americano e i ragazzini gli si rivoltano contro: diventa il bersaglio di tutti. Il gioco della guerra si fa violento, e Jian le prende di brutto, busca dei pugni in faccia che lo fanno sanguinare. Qualcuno lo colpisce al volto con un ramo – riesce a evitare la punta acuminata ma si fa un taglio profondo che gli lascerà una cicatrice sotto l’occhio, come uno spicchio di luna.

Da La Cina sono io, di Xiaolu Guo

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