Democrazia e scrittura

Orwelliana Singapore?

Qualche giorno fa un bell’articolo di Massimo Morello sul sito di Lettera22 raccontava in modo esauriente Singapore e la sua democrazia a senso unico, che definire autoritaria è un eufemismo. Lo faceva attraverso le parole dei suoi uomini di governo e di qualche megamanager delle molte corporations globali che fanno base in questa città stato del sudest asiatico, per niente spaventati all’idea delle restrizioni imposte alla libertà di opinione (e di movimento: l’autore di un recente pamphlet sulla pena di morte a Singapore è in galera da sei mesi, in attesa di un giudizio).

Paradossalmente, per uno scrittore questo è un momento di apertura. Ethos Books ha presentato di recente un memoir di Teo Soh Lung che ripercorre la sua lunga prigionia, dopo l’arresto a seguito della cosiddetta ‘Cospirazione Marxista’ della fine anni ottanta.

In realtà sono ormai molti gli scrittori e i poeti che, nonostante la militanza nei movimenti di opposizione della fine anni ottanta e novanta vengono ora pubblicati apertamente, e sembrano non temere più la censura. Un esempio è Yeng Pway Ngon, le cui poesie vengono pubblicate in raccolta da Literary Centre (uno dei volumi si intitolerà ‘Rebellion’). Un altro Suchen Christin Lim il cui Rice Bowl ripercorre quegli anni.

Pochi giorni fa il supplemento cultura e spettacoli dello Straits Time, Life, esibiva in prima pagina la foto di gruppo di otto poeti, tra i quali lo stesso Pway Ngon e Cyril Wong, un altro scrittore che ha sempre espresso apertamente il suo dissenso.

Forse gli scrittori non contano più niente, nel nuovo mondo asiatico? Recentemente, a una discussione pubblica organizzata dal British Council per presentare il progetto Writing the City, prima dell’inizio, ho chiesto al moderatore se mi avrebbe consentito di porre una domanda proprio su questo tema: gli scrittori di Singapore e la democrazia. Mi ha risposto: meglio di no. Torna tra un anno, e vedrai che sarà possibile.
Ieri sera, a cena con due registi e autori di pubblicità ho avuto invece una risposta esauriente. Mi hanno detto: il processo è irreversibile, questo paese intende vendere sé stesso come l’hub dell’Asia del Sudest. Sta cercando di attrarre qui le sedi continentali delle agenzie pubblicitarie, dei media. I think tank di tutta l’Asia fanno base a Singapore. Come puoi vendere una immagine di Singapore come centro della creatività asiatica, e poi costruire un clima di costrizione? Come a dire che la pubblicità è l’anima della democrazia: molto orwelliano, molto singaporeano. Ma in paese dove i poeti scrivono di notte e di giorno sono economisti, analisti finanziari e manager, tutto è possibile.

Bella l’intervista a Suchen Christine Lim, edita da un piccolo blog semisconosciuto

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