Ho sempre dichiarato con orgoglio che i romanzi di Metropoli d’Asia li scelgo sul posto. A Bombay, incontrando editor e giornalisti, ho scoperto chi erano Kiran Nagarkar e Cyrus Mistry, Annie Zaidi e Raj Rao. Nelle librerie indiane ho trovato la graphic novel di Amruta Patil . E sono volato fino a Seoul e Pusan per sapere chi fosse Kim Young-ha, o a Kuala Lumpur per ascoltare durante un reading lungo una giornata un brano di Malesia Blues, scritto da quell’incallito bluesman e inventore di locali underground che è Brian Gomez.
La libreria di Yeng Pway Ngon è meta dei miei pellegrinaggi a Singapore, per non parlare degli autori di Pechino, dove ho speso dodici mesi nell’ultimo anno e mezzo e le soprese arriveranno presto – e di questi incontri mi piace scriverne sul mio blog Indirettadallasia: mi interessano le persone, e soprattutto le persone che raccontano in forma scritta.
Voglio vivere in quest’Asia in travolgente trasformazione, voglio vivere con i piedi ben piantati nel timelapse che sconvolge la personalità dei più giovani e allontana da sé i più anziani. Ma che sicuramente produce scrittori che, discostandosene di un tratto, rinchiudendosi dentro al bianco di una pagina, possono raccontarlo.
Produce cortocircuiti anche quando, come nel caso di Tew Bunnag, per la prima e finora l’ultima volta mi trovo a pubblicare un autore che mi è stato proposto mentre sedevo alla mia scrivania a Milano, da un giornalista italiano – Massimo Morello, di cui consiglio la lettura dell’ottimo blog, Bassifondi, da Bangkok – che è poi stato il traduttore del primo romanzo da noi pubblicato, Il viaggio del Naga. Cortocircuiti dicevo: coincidenze strane. Quel primo romanzo conteneva una spruzzatina di realismo magico, il Naga, dio serpente che simboleggia l’acqua e la vendetta della natura sugli uomini: la complessa vicenda che vedeva tra i protagonisti un ex attrice, un artista, un monaco spretato, uno scrittore, si concludeva come in una catarsi con la catastrofica alluvione che sommergeva Bangkok.
Scritto due anni prima, nelle mani di Morello in quell’autunno in cui stavo di stanza a Singapore. Preparavo dunque lo sbarco in città, volevo incontrare autore, traduttore e scenario del romanzo, e mi fermò l’alluvione: quella vera. Quella che Bunnag, per qualche suo motivo, aveva saputo intuire dentro al suo romanzo, che aveva chiuso l’aeroporto e bloccato la città. Così come dentro al suo romanzo – e a questo più recente Cortina di Pioggia, in uscita contemporaneamente in Italia e in UK, presentato in gran pompa alla London Book Fair – ci stanno gli scontri politici da le due fazioni (allora i rossi e i blu, ora la situazione è più complicata) che fanno della Tailandia il paese più turbolento – ma preferirei scrivere: turbato – dell’Asia del Sud e dell’Est in questo momento.
Tew Bunnag avrà sicuramente raccontato di sé nell’intervista che precede questa mia nota. Mi sembra l’uomo giusto per guardare il suo paese con distacco e restituircelo con verità. Erede di una delle famiglie più importanti del paese, con un pedigree che lo avvicina alla famiglia reale, è il figlio che ha scelto di voltare le spalle alla propria condizione. Uomo mite, timido, che parla come fosse costretto ogni volta a spezzare una sua cortina di silenzio, maestro di Tai Chi Chuan, collaboratore attivo di numerose ong, avulso dalle logiche del potere, per molti mesi dell’anno in esilio volontario in Spagna, ce ne rende una cifra sconosciuta, a noi consumatori occidentali di turismo e tropicalità esotica. Ci parla delle persone, degli individui. Che è quello che dovrebbe fare ogni scrittore autentico.
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