C’è una scala mobile a Hong Kong. È famosa. In realtà è una successione di passerelle in salita, e i tratti in pendenza sono scale mobili o nastri trasportatori. Ogni tanto qualche gradino.
Collega il porto dei vaporetti che attraversano la baia con i vari livelli di una città addossata alla collina, sul cui versante si alzano i grattacieli residenziali alti e stretti: sembrano alberi, non è un cliché.
La risalgo insieme a Chan Ho Kei (chiamami Simon, ripete), il giallista di Hong Kong che pubblicheremo tra qualche mese. Lui mi cita il film di Wong Kar-wai (a me sembra fosse Hong Kong Express, lui pronuncia un titolo diverso, probabilmente la traduzione letterale del titolo cinese), una lunga scena a due sull’Escalator. E Batman, il secondo, che io però non ho visto.
Qui non mi ci ha portato lui, sono io che gli ho chiesto di fare questa camminata (agevolata). Mangiando i nostri dumplings sopraffini lo avevo visto un po’ ingessato, timoroso. Io gli ho spiegato che ormai è tutto fatto. I diritti sono nostri, prima o poi lo tradurremo in italiano, e lo rivenderemo in tutta Europa e in Asia. Sono curioso di capire chi sei, tutto qui: ma non glielo si può dire in questo modo.
Ha trent’anni, ha lavorato nel software, ora si concederà di fare lo scrittore a tempo pieno. Non che prima non scrivesse in abbondanza: ma scriveva per piccole case editrici. Quella che davvero si può definire pulp fiction: carta leggera, soldini per l’autore quasi niente, editing zero e refusi a manetta, distribuzione nei mercati più che in libreria.
Insomma su una scala mobile avveniristica, dentro a una città che somiglia a quelle descritte dai nostri fumetti di fantascienza anni settanta, tra alcune delle architetture più famose del mondo, Ho Kei (chiamami Simon), si lancia in una appassionata difesa dell’editoria popolare, che non si può definire underground perché sa vendere migliaia di copie.
L’avveniristica Asia ha delle formidabili somiglianze con i nostri anni Sessanta, Settanta (nei Cinquanta ero troppo piccolo per ricordarmeli). Qui spopolano gli Urania e i Gialli Mondadori. E giustamente lui mi dice che sono poco esplorati, che tutti si lamentano di come si legga sempre meno (uff, in Italia non hai idea i pianti, gli dico…), e che gli autori veri si nascondono lì.
Come i nostri Bradbury, le Ursula Le Guin, i Vonnegut (gialli non so, io leggevo solo fantascienza). Che importa se son solo storie di vampiri, horror, fantasy con legioni di guerrieri e semidei. Credono che i ragazzi debbano cominciare solo leggendo i classici? (E qui mi sovviene il protagonista di Le tre porte, cresciuto a lettere classiche cinesi, e finito e rotoli).
Gli racconto che in fondo quello è stato anche il mio percorso: monomaniacalmente fantascientifico, no gialli, no adventures (Salgari: giammai), tutta la meglio ma anche la peggio sci-fi (le saghe di Asimov, di Brunner, mamma mia…). Poi improvvisamente, a ventitrè anni suonati Il castello e a seguire tutto Kafka.
Insomma, era ora che Metropoli d’Asia inciampasse nel romanzo di genere (sì, anche Malesia Blues, è vero…) e ci inciampasse a Hong Kong. Perché qui si respira quel che mi aspettavo di trovare in Asia: un futuro che comincia da un certo punto del nostro passato. Tipo: modernità atto secondo (la vendetta?).
Oppure semplicemente: altro giro, altro regalo. Speriamo di riuscire a salire sulla giostra.
Ma lui, Ho Kei, Haoji, Simon? È lì, alto, con i suoi occhiali dalla montatura spessa, una dentatura smisurata (nerd, direbbero in USA?), sì un’aria da secchione sfigato che ha appena vinto uno dei più importanti premi asiatici, consegnato dalle mani di un autore giapponese di culto come Soji Shimada.
Chiacchieriamo, discutiamo, fermi in piedi sui tratti di scala mobile, o camminando col fiatone su un tapis roulant in salita, o discendendo improvvisamente una decina di anomali scalini. Ci fermiamo ai molti pianerottoli, ci appoggiamo alla ringhiera, bello spettacolo l’acqua, i grattacieli. Il ritmo della conversazione si adatta al ritmo della camminata: o viceversa. Buon ritmo, buoni pensieri.
In cima io prendo un taxi che ridiscende i tornanti, lui se na va, scompare nell’iperspazio (che non è male per un giallista).
Foto: evan.chakroff
Pingback: Un’intervista a Chan Ho Kei | Metropoli d'Asia
Pingback: kate spade outlet
Pingback: mcm clothing line
Pingback: moto le hoolister
Pingback: hermes occasion europcar nice
Pingback: louboutin homme ours guimauve