Dalla Cina vorremmo di più…

E’ facile ascoltare mugugni di insoddisfazione quando si discute di narrativa cinese contemporanea. Pochi sono i romanzi e gli autori che sembrano aver colpito nel segno: lo dicono le basse vendite anche dei nomi più noti, lo ribadiscono gli addetti ai lavori. E il fenomeno non riguarda solo l’Italia, ma e comune a tutti i paesi europei, a dispetto dei tentativi cinesi di attirare l’attenzione sulla loro produzione letteraria e nonostante la crescente copertura mediatica delle vicende del Dragone rampante. Concordo: trovare un autore che mi soddisfi è un problema, e ne è dimostrazione il fatto che MdA ha finora scelto di tradurre e pubblicare il solo Zhu Wen. Nel mio tentativo di scoprire lavori legati alla contemporaneità (scrittori, coerentemente con le nostre scelte di fondo, residenti in Cina e non emigrati) ho incontrato due grossi ostacoli, che sono poi le due principali caratteristiche della produzione narrativa cinese recente. Il primo è la tendenza della generazione più anziana (diciamo dai cinquantenni in su) a ripercorrere le due tappe più note della storia cinese della seconda metà del ventesimo secolo: la Rivoluzione Culturale e la rivolta popolare e studentesca conosciuta per la repressione brutale in Piazza Tien an Men. Sembra cioè che questa generazione si sia letteralmente gettata sopra a queste vicende, forse perché l’accoglienza del pubblico (occidentale) è stata da subito molto favorevole. La mia impressione è che si tratti di una produzione che origini più nella richiesta di noi lettori occidentali che non da una reale esigenza degli autori. Certo, quella generazione è stata marchiata a fuoco da quel periodo terribile, e l’urgenza di trasformare le proprie ferite in letteratura è logica. Ma perché una simile difficoltà a proporre in seguito storie ambientate nella contemporaneità di questa Cina in trasformazione, con tutte le tematiche che questa propone e tutti gli spunti sui quali sarebbe possibile costruire buone storie? Dopo i capolavori di Acheng, in fondo, era difficile far meglio. E anche nella Cina stessa la Rivoluzione Culturale è un argomento che è stato e ancora è dibattuto a lungo, senza vincoli di censura, al punto che l’interesse dei lettori si concentra semmai sulla saggistica o sul memoir. La breve e felice stagione di apertura culturale della fine anni ottanta, culminata nella rivolta di Piazza Tien an Men, è pure stata raccontata (qui con vincoli di censura ben più forti) come se appartenesse a un passato remoto, fuori dal tempo e completamente scollegata con i due decenni successivi, che invece, appunto, vengono più raramente narrati.

Dicevo di due ostacoli. Il secondo è una attitudine della generazione più giovane, dopo la breve fiammata ‘sex and drugs and rock and roll’, ad appiattirsi al contrario sui gusti del pubblico giovane, seguendone i gusti, intercettando un loro bisogno di discutere, raccontare la propria condizione, ma proponendo prodotti preconfezionati, facili da vendere (e in un paese di queste dimensioni si parla di milioni di copie). E’ possibile che l’esplosione di questa narrativa ‘market oriented’ sia dovuta anche alla diffusione di Internet come mezzo di scambio di idee e opinioni per i più giovani (tra il 2004 e il 2005 sono stati pubblicati in rete più di 3000 romanzi!), ma non è un caso che all’orizzonte non siano ancora comparsi giovani autori di talento capaci di emergere tra la massa dei tanti che ripetono un identico format, come se un mercato di questo genere non consentisse ancora la selezione.

Questo mi piacerebbe chiedere agli autori cinesi: più coraggio nell’affrontare la contemporaneità da parte delle generazioni anziane, e… ancora più coraggio da parte dei più giovani. Dove per coraggio non intendo la sfida alla censura (che in realtà impone il black out solo su poche questioni: la supremazia del Partito Comunista, e le questioni del Tibet e di Taiwan, mentre lascia mano libera alla critica anche feroce della corruzione o dei mutamenti negli stili di vita, nei valori), ma sfida ai lettori: i giovani cinesi e i più attempati occidentali.

  • Maria Gottardo

    Non sono d’accordo sull’analisi del rapporto degli autori ‘attempati’ con la rivoluzione culturale, tema che secondo me non è un’esca per occidentali, ma (perlomeno in certi autori) una sincera esigenza di fare i conti col passato, anche e soprattutto sul piano individuale. Penso sia più facile per i cinesi digerire Piazza Tiananmen, ‘incidente’, così lo chiamano, caduto dall’alto e quindi liquidabile come responsabilità del governo. Molto più difficile venire a patti con un fenomeno collettivo come la rivoluzione culturale, a cui le generazioni che l’hanno vissuta hanno partecipato sia come vittime che come carnefici. Tanti sono stati carnefici, almeno nel creare il clima di sospetto o discredito reciproco, ed è questo ruolo con cui è più difficile convivere, come mi par di capire in quest’intervista a Wang Gang, l’autore di “English”, dove si accenna proprio alle responsabilità individuali e al disagio e pudore che ancora oggi impediscono di chiudere quel periodo con l’etichetta di passato: http://www.danwei.org/books/wang_gang_on_english_and_the_c.php
    E poi, come dice Yu Hua, la Cina è passata dal medioevo al futuro in soli trent’anni, perciò, nonostante le proverbiali capacità mimetiche e di adattamento dei cinesi, difficoltà di metabolizzazione del passato prossimo e l’esigenza di tornarci sopra non sono così incomprensibili. Oltre a Han Dong, ci è tornato recentemente anche Su Tong nel suo ultimo romanzo He’an, da lui definito il suo più importante (ovviamente può essere uno spot pubblicitario!). Credo che non abbia venduto molto e la cosa che non mi stupisce visto che tutta la larga fascia dei lettori giovanissimi o un po’ meno giovani liquidano le storie sulla rivoluzione culturale come noiosi racconti di vecchi nonni. Insomma, a me piace vederla come una tendenza sincera, poco orientata al mercato e forse dettata anche dalla voglia di tener viva la memoria, perchè la paura che certe cose possano ritornare, come da noi, non è mai del tutto esorcizzata. Detto questo, anch’io spererei che qualcuno dei grandi scrivesse anche sulle non poche contraddizioni del presente!

  • Andrea Berrini

    Forse sono stato troppo ‘tranchant’. E’ evidente che gli scrittori, molti dei quali hanno vissuto in prima persona quel momento terribile, hanno una esigenza propria di ripercorrere il passato, di rielaborarlo. Ma vedo che concordiamo nella ricerca di una produzione narrativa più legata alla contemporaneità.
    Grazie del link, lo mettiamo subito tra i consigliati

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