Esangui esistenze a Singapore

È un piccolo paese, Singapore: quattro milioni di abitanti su un’isola di 40 chilometri per 30. Praticamente un centro città degli affari, un’ampia fascia residenziale, una piccola e forse residua zona industriale, e una periferia dove vivono i lavoratori immigrati. Molto turismo, sopratutto asiatico: parchi giochi e casinò.

Il mio amico Fong Hoe Fang, di Ethos Books, mi dice: è difficile che emerga della buona narrativa da un paese di centri commerciali e pendolari. In effetti la scena dei romanzi locali è spesso asfittica.

Come in Heartland, di Daren Shiau, che lui ha pubblicato qualche anno fa, dove un gruppo di ragazzi alle soglie della laurea confrontano le loro esistenze. Razze diverse, culture e religioni lontane tra di loro (qui ci sono cinesi, bianchi di origine inglese, Malay e un po’ di immigrati anche recenti dall’India), in fondo ciò che è più interessante è proprio la capacità di convivere senza conflitti da parte dei personaggi del romanzo, a causa di un appiattimento che pare senza scampo, dove il passaggio dalla scuola al lavoro sembra non avere soluzione di continuità, così come quello dalla giovinezza all’età adulta.

In questa sorta di Svizzera asiatica gli artisti e gli scrittori più acuti restano concentrati su un minimalismo del quotidiano (un buon esempio è il poeta Cyril Wong), e la loro via di fuga sembra essere il viaggio verso l’Occidente, e recentemente anche verso la Cina.

I romanzi che sanno alzare lo sguardo sono quelli di autori più in là con gli anni, che parteciparono ai movimenti pro democrazia negli anni ottanta, come Su-Chen Christine Lim, il cui Rice Bowl bene racconta quegli anni.

Foto: AndyLeo@Photography

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