«Sta’ zitto e apri le orecchie, Joe. Io ho ventisei anni di esperienza nello spaccare le ossa di gente molto più grossa e più forte di te. E sono bravo, Joe. Cazzo se sono bravo. L’esperienza, come dici tu, è tutto. Ho smesso perché non mi piace più. Ma nel tuo caso, Joe, credo che mi potrebbe tornare la voglia.
«Quello che voglio che tu faccia ora è andare al microfono, visto che evidentemente essere al centro dell’attenzione non ti dispiace, a scusarti con i gentili clienti di questo bar per esserti comportato da stronzo rompicoglioni. Poi voglio che ti scusi con Terry per aver interrotto la sua esibizione. E infi ne, Joe, voglio che ti scusi con i Deep Purple per aver massacrato la loro canzone. E poi voglio che scendi da questo cazzo di palco. Ce la fai, Joe, oppure no?».
Mentre Pak Jam parlava, Joe sentì qualcosa di caldo sgocciolargli giù per i pantaloni. Non ci poteva credere. Avrebbe voluto correre via, ma non poteva andarsene così. Non c’entravano più Arun e Siva. Andassero affanculo, quei due. Erano le donne. Le donne lo stavano guardando. Doveva salvare la faccia almeno un po’. Cercò di pensare a una risposta brillante.
«E che cazzo pensi di fare se non scendo?», fu tutto quello che riuscì a dire, e rimase immediatamente deluso di se stesso.
«Ti slogo un pollice», disse Pak Jam. Cosa mi fa? si chiese Joe. Era l’idiozia più grossa che avesse mai sentito, eppure la specificità della minaccia lo terrorizzò. Cercò un’altra replica sagace.
«Ma vaffanculo, lah», disse, pentendosene all’istante. Il pugno di Pak Jam lo colpì dritto in bocca, e mentre crollava a terra Joe si sentì cascare di bocca due incisivi.
Da Malesia Blues, di Brian Gomez