Su asiamonamour si racconta di un matrimonio celebrato a sud di Taiwan, descrivendo in primo luogo l’accoglienza ricevuta in casa. Il matrimonio vero e proprio viene celebrato prima, in comune senza invitati, ma la festa con parenti e amici prevede la benedizione da parte dei genitori della sposa, il passaggio a casa dello sposo e poi nella nuova casa, con vari riti come la rottura di una mattonella per allontanare gli spiriti maligni. Infine, tutti al ristorante.
I matrimoni a Taiwan
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Chi sono gli aborigeni di Taiwan?
Su asiamonamour si può leggere un resoconto sulla visita in due villaggi di aborigeni taiwanesi, arricchito da una serie di considerazioni più generali sulla loro storia. Interessante notare come il loro ceppo d’origine non sia quello cinese, ma quello austronesiano.
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Foto da Taipei
http://www.metropolidasia.it/blog/?p=3110
Una notte in libreria, a Taipei
Di notte, Taipei può offrire anche una libreria sempre aperta. L’ha visitata asiamonamour, e sembra che alle 3 di notte fosse molto affollata, sia di persone che di libri di tutti i genere, alcuni anche tradotti in inglese.
Fa parte della catena Eslite, e questo è il loro sito ufficiale.
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Video: Il distretto di XinYi
Iconoclasta è un blog che si “svolge” tra l’Italia e Taiwan. Questo è un bel video sul distretto di XinYi, nella città di Taipei.
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Han Han a Taiwan
Senza pubblicizzare la cosa fino all’ultimo momento, Han Han si è recato a Taiwan per partecipare a un Forum organizzato dalla rivista Yuan Jian.
Con l’occasione, Han Han ha incontrato anche il presidente di Taiwan Ma Ying-jeou. Ecco qui in basso un resoconto più dettagliato in traduzione da questo articolo:
Il noto scrittore cinese Han Han si trova a Taiwan per la prima volta per partecipare a un Forum indetto dalla rivista Yuan Jian. Il presidente Ma lo ha accolto personalmente sottolineando il piacere di incontrarlo. Nel 2010 Han Han è stato eletto dal “Time” una delle persone più influenti del pianeta. Viene considerato blogger di fama acclamata e opinion leader di spicco in Cina continentale. Questo suo viaggio è stato mantenuto segreto, temendo che la notizia del suo arrivo a Taiwan potesse creare dei problemi.
Lo scrittore Han Han si è presentato al palazzo presidenziale con una giacca presa in prestito, una camicia non abbottonata completamente e con ai piedi un paio di scarpe casual marroni, per un appuntamento con il presidente Ma Ying-Jiu. Opinion leader di fame conclamata, è stato accolto dal presidente stesso con una stretta di mano e con le parole “è un piacere, ho sentito parlare molto di lei”.
Il presidente Ma ha poi aggiunto: “milioni di cittadini cinesi possono vedere su Internet lo svolgimento e i risultati delle elezioni presidenziali e legislative di Taiwan”.
Per quanto l’incontro fosse abbastanza informale, non è stato reso noto fino all’ultimo momento. La rivista Yuan Jian, che ha indetto il Cross-Strait Dividend Forum, ha funto da intermediario organizzando l’incontro del presidente con i partecipanti al suddetto Forum. Il nome di Han Han assieme ad altri partecipanti è stato mantenuto segreto fin dopo l’incontro con il presidente, il quale, all’arrivo di Han Han, ha detto che l’autore avrebbe sicuramente avuto molte idee da condividere con tutti i presenti.
Proprio nel momento critico del caso di Chen Guangcheng nella Repubblica Popolare Cinese, l’entourage presidenziale e lo scrittore stesso hanno preferito non divulgare troppo la notizia per non creare ulteriori scompigli.
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Inchiostro
L’editore più socievole e simpatico che abbia mai incontrato in Asia si chiama Chu An Min, ha fondato una casa editrice indipendente col nome di INK, e io non sono mai riuscito a parlargli.
L’ho incontrato la prima volta un anno fa, a Taiwan. Il mio amico Yeng Pway Ngon volava su Taipei, andava a incontrare il suo, di editore. Aveva sentito parlare di INK, voleva incontrarli, e mi ha proposto di accompagnarlo.
Chu An Min, entusiasta, ci ha invitato subito a cena. A metà pomeriggio, come si usa da loro. Io mi sono trovato davanti un uomo con un abito blu e una camicia bianca, senza cravatta, scarpe di marca, occhiali spessi, che ha cominciato a versarmi birra nel bicchiere. E a berla, dimostrando una certa tenuta. Purtroppo Pway Ngon parla un inglese stentato, e Chu An Min non ne sa una parola. Quasi impossibile comunicare se non a gesti (versar la birra nel bicchiere, alzarlo per un brindisi), dopo pochi minuti Pway Ngon si è stufato di tradurre, An Min di parlare a frasi mozze e spezzettate da una traduzione che io non capivo.
INK è anche una rivista letteraria, sicuramente anomala. Più di cento pagine su carta patinata, monografie su scrittori da tutto il mondo, che i suoi collaboratori o amici (ne ha dovunque) riescono a intervistare e magari a convincere a lasciargli tradurre un inedito (a Taiwan). Pubblicità d’alto profilo, cadenza mensile: una rivista letteraria non in perdita. Pazzesco, considerata la qualità del prodotto, testo stampa confezione.
A vederlo (l’ho già detto parlando di altri, l’Asia gira così) penso che forse in questo modo si presentavano i Flaiano, i Bianciardi all’epoca in cui facevamo boom economico noi. Persona alla mano, che se la beve (ho declinato l’offerta per i bagordi successivi, e sono tornato in albergo al capezzale di una moglie con l’influenza), che mi dà di gomito in continuazione e io rispondo di sì, rido di non so che. Editore lui, che negli ultimi anni ha saputo pubblicare e valorizzare i nomi più importanti della narrativa taiwanese e è presente massicciamente nelle librerie (il logo INK è scritto all’occidentale, lo riconosco anch’io). Grafica di copertina raffinatissima, beati loro che hanno quei caratteri che da soli fanno disegno.
Durante questi dodici mesi ci siamo scritti (meglio: un mio amico gli ha scritto per conto mio in cinese), abbiamo ricevuto qualche libro. Vi diremo più avanti. Quel che conta è che ora io son di nuovo a Taipei, e finalmente lo posso incontrare di persona, con un traduttore italiano al mio fianco che sicuramente sarà capace di veicolare la nostra chiacchierata non di lavoro, ma libera: che mi racconti quel che vuole di lui, di Taiwan. Che ci porti un po’ in giro.
Il mio traduttore attende conferma telefonica per l’appuntamento della mattina successiva, il telefono di Chu An Min suona a vuoto. Ci presentiamo negli uffici come previsto, alle 10. Chu An Min non c’è. Non sanno dove sia. A volte non dice dov’è, si scusano. Forse è a Pechino. Forse è sbronzo, pensiamo noi? Ci riceve una responsabile editoriale e capiamo che è lei che tiene in mano l’ufficio, è lei che ci ha scritto a nome di Chu An Min, secondo le sue indicazioni, in tutti questi mesi. Ma oggi di indicazioni non ne ha.
Ci sciorina un catalogo: il meglio. Un editore affidabile, un editore vero.
PS Questo post non ha link. Non ci sono link a INK. Intorno a noi, Taipei non a caso è una città a pianta ortogonale di palazzoni anni cinquanta, sessanta (i ricchi cinesi si erano portati fuori dalla Cina comunista i loro averi, e lì si sono costruiti la loro città dal niente o quasi). Alti sette otto piani, grigi, tutti uguali ma vivacizzati dagli ideogrammi che impazzano, colorati, al livello della strada. Cielo bigio d’autunno. Un sacco di gente che fuma. Che nostalgia…
Foto: Levi Durbidge
http://www.metropolidasia.it/blog/?p=1564
Premiazione a Taiwan
Metropoli d’Asia e’ entrata a far parte di un pool di editori asiatici che ha recentemente assegnato un premio a quello che viene considerato il miglior giallo dell’Asia orientale.
Lo abbiamo gia menzionato: si chiama Soji Shimada Mystery Award. Prende il nome da un autore giapponese di culto, una icona del pubblico giovanile, cultore di quelli che qui vengono definiti “gialli a chiave”: quelli in cui c’e’ un mistero, un enigma da risolvere.
Il pool si e costituito attorno a un editore taiwanese, Crown, e vede la partecipazione di editori dalla Cina, Giappone, Corea, Tailandia, Malesia e, appunto, Italia: Metropoli d’Asia pubblichera il romanzo vincitore e ha incarico di rivenderne i diritti in Europa e in alcuni paesi asiatici.
Il vincitore e’ di Hong Kong, si chiama, a seconda dei casi, Chen Haoji, oppure Chan Ho Kei, a seconda che lo si pronunci in mandarino o in cantonese.
Lo incontrerò a Hong Kong nei prossimi giorni, ne parleremo. Intanto possiamo dire che il titolo provvisorio del giallo e’ “Dimenticare. Polizia criminale”. Nella foto ecco Soji Shimada con il nostro Ho Kei, a destra.
Lui è di Hong Kong, dove si parla cinese cantonese, e non mandarino (ma scritto nella versione tradizionale, non in quella semplificata). La questione è… complessa. Sostanzialmente succede questo: il cinese è una lingua unica, ma nel sud della Cina si pronuncia in modo differente che nel resto del paese. I due nomi che ho citato rappresentano appunto, le due pronunce di un nome scritto allo stesso modo.
Naturalmente quando si traslittera nel nostro alfabeto, ecco che spuntano due nomi diversi. Noi scegliamo il secondo. Ce lo ha chiesto Chan Ho Kei, scrivendomi: se preferisci, chiamami Simon.
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La forza di Taiwan
Ho enfaticamente intitolato un recente post La guerra (fredda) delle lingue, riferendomi al confronto in atto tra prevalenza dell’inglese e del cinese nella narrativa (e in genere nelle pubblicazioni) di questa parte del continente.
Relativamente al campo della lingua cinese, la piccola Taiwan, che vive gli ultimi anni in uno stato di attesa, ormai preparata a un quasi inevitabile ricongiungimento con la Cina continentale, ha un ruolo di primo piano.
In Cina continentale è stato introdotto decenni fa il cinese semplificato, e cioè una versione della lingua scritta che prevede una drastica riduzione del numero dei caratteri e una loro semplificazione grafica, questo per facilitarne la sua diffusione a livello di massa, e cancellare l’analfabetismo.
Taiwan restò ancorata al cinese tradizionale (o complesso). Lo stesso accadde nelle numerose comunità cinesi dislocate in altri paesi asiatici e non solo (si parla di 140 milioni di cinesi residenti all’estero da generazioni), emigrate (in Asia) come rappresentanti delle classi commerciali, ma in seguito anche come reazione alle trasformazioni in atto in Cina (la rivoluzione anti-imperiale dell’inizio del secolo scorso, e quella comunista nel dopoguerra).
In tutta l’Asia del sud-est si utilizzava il cinese complesso, fino a pochi anni fa, e solo la nuova generazione ha cominciato a adottare il semplificato. Il risultato è che scrittori appartenenti alle grandi comunità cinesi di Singapore, d Hong Kong e della Malesia sopratutto, ma anche alle minoranze cinesi di altri paesi del Sud-est asiatico, non trovando una editoria cinese locale, si rivolgono agli editori di Taiwan, capaci poi a loro volta di distribuire nel Sud-est. Una narrativa della diaspora che dunque si rivolge più verso Taipei che verso Pechino.
Foto: robbed
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