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    La casa editrice di Andrea Berrini, scrittore e saggista. L’obiettivo: scoprire e tradurre narratori contemporanei asiatici che propongono scritture innovative.
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Daily Jaipur

Il nostro Indrajit Hazra presenta il Festival di Jaipur in una sua recente column (Red Herring – Falsa Pista) sull’ Hindustan Times, quotidiano che promette da domani di informarci… quotidianamente su quel che succede al festival. Di Hazra godetevi anche questo elzeviro su ‘letteratura e narrativa d’evasione’, per usare terminologie nostrane.
Sta di fatto che Jaipur Literature Festival 2011 comincia tra poche ore, lontano dall’intimità delle sue prime edizioni (solo 4 anni fa: poche decine di ospiti, dibattiti tra esseri umani e non tra esseri umani trasformati in star… che nostalgia! Come disse Mridula Koshi l’anno scorso: è che a continuare a camminare in giro con il sorriso perennemente innestato prima o poi ti sloghi la mascella). Si aprano le danze.

Oltre le fiamme del Taj Mahal Hotel

26 novembre 2008. Un commando terrorista attacca alcuni edifici a Mumbai / Bombay. Si spara all’impazzata, i morti sono 140. L’attacco più cruento è quello a raffiche di mitra tra la folla dei pendolari a Victoria Station, ma un pugno di miliziani entra persino in un ospedale sparando sui degenti e sul personale. Le tv di tutto il mondo centrano la loro attenzione su Bombay: CNN, BBC, Fox e Sky, francesi, tedeschi e italiani mostrano indiretta le fiamme che escono da una finestra dell’albergo più famoso di tutta l’India, il Taj Mahal, e l’Hotel Oberoi dove uno chef italiano è tenuto in ostaggio. Molti indiani, dopo qualche giorno, riprendedosi dallo shock, si rendono conto di come la visione eurocentrica del mondo occidentale abbia completamente distorto la realtà: si paragonano gli attacchi di Mumbai al 9/11 di New York, ma è chiaro che il terrorismo in India ha radici completamente diverse, è fenomeno che viene da più lontano, legato alla Partition tra India e Pakistan, all’indipendentismo Kashmiro, a quello Punjabi. Lo scontro in India tra le comunità indù e mussulmana è endemico, e l’Islam, vastamente minoritario, risulta spesso essere la parte lesa, sotto l’attacco di un fondamentalismo indù legato a doppie mani con la speculazione politica e il gioco dei poteri piccoli e grandi.
Riproponiamo qui la vera e propria invettiva di Kiran Nagarkar (Ravan & Eddie) su Vanity Fair di un anno fa. Perchè, ci chiede Nagarkar, vedete solo i tre morti occidentali al Taj Mahal, e non le decine di vittime indiane a Victoria Station?
Metropoli d’Asia a Bombay ci è praticamente nata: per questo tanti dei nostri romanzi sono ambientati in quella città, o scritti da autori che ci vivono: il Cyrus Mistry di Le Ceneri di Bombay, Raj Rao con Il mio ragazzo e recentemente Dangerlok, Tipi Pericolosi, di Eunice De Souza. Ognuno di questi romanzi cita episodi del conflitto tra fondamentalismo indù e islamico. Non si vive a Bombay o in India, senza sentire sulla propria pelle i morsi della realtà.
Tenete d’occhio i blog e i siti indiani segnalati qui di fianco: nei prossimi giorni sono sicuro che parleranno dell’attacco a Mumbai. E non solo del Hotel Taj Mahal, dove scendono gli occidentali in visita.

Camus e Habermas a Jakarta

Europe vs Indonesia

Il motivo per cui mi incuriosisce l’Indonesia è che lì, magari a cavallo di una recente vena incline al realismo magico, i temi forti di un mondo che cambia (i nuovi scenari delle donne che danno l’assalto alle professioni, le complicate relazioni tra metropoli moderne e aree rurali poverissime, le religioni in lotta tra di loro e un islam che cerca disperatamente di mantenere un suo profilo moderato) innervano le narrazioni, quelle scritte e quelle per immagini del cinema, della televisione. Allora non c’è da sorprendersi se a Komunitas Salihara vengono menzionati Camus e Habermas. Del resto molti dei centri culturali indonesiani come Salihara furono fondati da artisti o intellettuali che molto si impegnarono per l’avvento della democrazia. Qui il centro motore è Mohamad Goenawan, ex fondatore e direttore di Tempo, uno dei magazine più famosi del paese, una specie di nostro Espresso. Di Goenawan trovate tre poesie su Asia Literary Review. Vi segnalo poi, su La Stampa web, una bella intervista di Francesca Paci alla scrittrice Nukila Amal. Metropoli d’Asia pubblicherà il 6 aprile il suo Cala Ibi (Il Colibrì). Nukila Amal sarà a Incroci di Civiltà a Venezia dal 12 aprile in poi. Le sue opinioni sono un po’ forti, ma tant’è.

Bluesman

Finalmente Brian Gomez ci ha inviato un link utile: quello dell’Hideout, locale dove il Terry Fernandez protagonista di Malesia Blues si esibisce quasi ogni sera. Ma pechè somiglia così tanto a Brian Gomez? E perché è indicato come “BG”?

Ubud vs Frankfurt parte seconda

Sitor Situmorang

Dunque nelle stesse identiche date della più importante fiera del libro globale, a Ubud (Bali) vengono invitati scrittori e operatori, a raccontare i loro libri e le loro storie. Metropoli d’Asia era lì insieme a Brian Gomez (Malesia Blues) e Djenar Maesa Ayu (il cui Nayla tradurremo più avanti). Festival un po’ particolare, certo, con una preponderanza di autori australiani e quindi come spesso accade a questi eventi asiatici un po’ sbilanciato verso le scritture in inglese: comanda chi ci mette i soldi, certo. Però vetrina per autori altrimenti sconosciuti. Ve ne segnalo alcuni. Ma Thida, attivista per i diritti umani in Birmania, collaboratrice di Aung San Suu Kyi, che racconta come sia diventata screittrice dopo cinquae anni e sei mesi di detenzione ai quali è sopravvissuta imparando le tecniche di meditazione buddista vipassana. Ma Thida ritiene che la sua decisione di diventare scrittrice (con un memoir, e ora un romanzo) sia una sorta di continuazione di quelle pratiche di meditazione. Un po’ surreale la sua presentazione, costretta com’era a rispondere a monosillabi alle pressanti richieste del pubblico circa la situazione presente in Birmania e le prossime elezioni farsa di novembre: subire la censura e doversi adeguare è altra cosa che parlarne a tavolino. La vediamo in una collezzione di interviste video mica male, con alcuni autori che spiegano cosa leggono, e come scrivono. Dal sito e da Facebook consiglio questa pagina su Sutardji , ma gli scrittori indonesiani sono presenti un po’ dappertutto, cercate l’intervista a Dewi Lestari e questa pagina su Sitor Situmorang
Mica male l’idea di continuare Ubud Festival in molte altre città Indonesiane con il tour di una dozzina di gruppi Hip Hop australiani e indonesiani.

Ethos

Ethos Books

Singapore. A cena con Fong Hoe Fang di Ethos Books. Pubblicano molta poesia, memoir, qualche raccolta di racconti. Mi spiega che qui manca l’aria: una ragnatela di restrizioni leggere ma insistenti, un regime oppressivo, democratico nella forma ma con la prevalenza e la prepotenza del partito di governo. Ha un amica che si presentò alle elezioni criticando il potere, e fu di fatto espulsa dal paese. Difficile che un autore si senta libero di raccontare storie aperte, con lo sguardo acceso sulla società che lo circonda. Tendenza a ripiegare sul privato, a guardarsi l’ombelico. E allora viene più facile fare poesia, o scrivere racconti brevi piuttosto che romanzi. La prossima settimana Ethos Books presenta alla Arts House una raccolta di poesie di Yeong Pwai Ngon, il libraio indipendente di lingua cinese più noto in città. Pwai Ngon ha scritto un bel romanzo, che spazia dagli anni della repressione, inizio ’80, fino ai tempi nostri. Non ha paura, lui: è già stato dentro un paio di volte, per mesi.

Solitudini vs Moltitudini

Un'immagine dal sito Cha: an Asian literary journal

Vado un po’ per associazione di idee. I Giochi del Commonwealth di Delhi sono in forse: l’endemica follia e inefficenza indiana hanno prodotto come risutato stadi pericolanti, villaggi degli atleti fatiscenti. Una società ipertrofica, sregolata, dove tutti sono a contatto con tutti senza filtri di genere, di lingua, di casta o di censo. All’opposto, nel continente, Singapore, Hong Kong, Seoul con i loro grattacieli che svettano, le linee ad alta velocità, gli avvenirismi. Compariamo le visioni del proprio mondo che hanno gli scrittori di questi paesi, andando a scandagliare riviste e blog letterari per capire la loro relazione con l’arte in genere: che fotografie, che pittura, che installazioni scelgono i poeti per rappresentare sè stessi e gli altri?

Dall’India: segnalato da Annie Zaidi nel suo blog e un articolo da The Caravan. Da Singapore e Hong Kong: Quarterly Literary Review Singapore, e Cha.

Vicinanze

Mi trovo a raccontare una storia che mi riguarda direttamente, come scrittore. Lo faccio perchè è un buon esempio di quanto la nuova Asia abbia oggi da condividere con la vecchia Europa.
L’editore di Singapore con cui MdA ha iniziato una collaborazione stretta è la Ethos Book del mio amico Fong Hoe Fang. Una sera mi è capitato di accennare a un mio libro: Noi Siamo la Classe Operaia, edito da Baldini&Castoldi anni fa. Narravo la storia dei duemila operai dei cantieri di Monfalcone che, nel 1947, decisero di emigrare nella confinante Jugoslavia perchè, dicevano, volevano contribuire alla costruzione di una società comunista. Come si può immaginare, l’emigrazione di massa ebbe esiti tragici: alcuni dei monfalconesi vennero addirittura rinchiusi per anni nei terribili gulag di Tito. Una decina di anni fa intervistai molti degli anziani protagonisti di quell’epopea, descrivendo la delusione e il vero e proprio trauma che quella storia contribuì a sedimentare nelle fibre dell’immaginario collettivo operaio e di sinistra in Venezia Giulia: il sogno di una società diversa che si infrange sulla scorza ruvida del comunismo reale.
In un ristorante di Singapore poco tempo fa, Hoe Fang mi ascoltava impietrito. Gli vidi gli occhi lucidi. Cominciò a raccontare lui, con fatica. La sua era una famiglia di proprietari terrieri, originaria della Cina del sud est. Negli stessi anni in cui i miei monfalconesi si rompevano il muso contro il muro del socialismo titino, il fratello di suo nonno si unì ai comunisti cinesi di Mao Tse Tung impegnati nella Lunga Marcia, che stava per sfociare nella rivoluzione e nella presa del potere. Il primo effetto dell’instaurazione del comunismo fu l’espropriazione dei latifondisti: i fratelli si divisero, il nonno di Hoe Fang fece appena in tempo a trasferire parte di suoi averi a Singapore, dove di lì a poco fondò la stamperia che oggi, guidata da Hoe Fang, è una fiorente industria grafica e pubblicitaria (oltre che editoriale). Il fratello rimase con i suoi compagni: si dichiarò lieto di vedere le sue terre espropriate e donate al popolo. Diventò in breve uno dei massimi dirigenti del Partito Comunista Cinese, con importanti incarichi di governo.
Venne poi la Rivoluzione Culturale. Preso di mira dalle Guardie Rosse, il prozio di Hoe Fang subì le note umiliazioni, venne inviato in campagna a ‘rieducarsi’ e in seguito confinato come operaio comune in una fabbrica della Manciuria settentrionale. Decise di andarsene, riuscì a fuggire a Taipei e poi negli Stati Uniti. Ci vollero quasi tre decenni perchè Deng Tsiao Ping, l’artefice della virata cinese verso il libero mercato, lo richiamasse a Pechino. Fu riabilitato, e gli fu proposto di rientrare nei ranghi: con un prestigioso incarico, equivalente al nostro Sottosegretariato ministeriale. Ma lui, a Deng Tsiao Ping, rispose di no. Non c’è niente, disse, che possa ricompensarmi per ciò che ho perduto.
Fong Hoe Fang dice che è per quello che la sua esistenza di grafico e stampatore non gli bastava. Lavora con tutte le multinazionali che hanno sede nel paese, ne cura le campagne di immagine e di marketing. Ma ha voluto, quasi da dilettante e sicuramente a profitto zero, costruire un catalogo editoriale centrato sulla produzione poetica e teatrale a Singapore. E fra un po’ tradurrà il mio Noi Siamo la Classe Operaia.
Lunga vita alla collaborazione tra MdA e Ethos Books.

Cosa racconta l’Asia

10 Women-Writers Reading

Quando, quasi tre anni fa, proposi a Giunti Editore di costiture una nuova casa editrice dedicata alla narrativa asiatica, avevo una sensazione precisa: che in questi paesi pronti a emergere sulla scena globale gli scrittori e gli intellettuali in genere avrebbero voluto in qualche modo affrontare tematiche a noi già note (la liberazione della donna, i diritti dei lavoratori, la nascita di relazioni nuove perchè slegate dal luogo di appartenenza originario). E trovavo interessante questa sorta di ritorno, di seconda volta: in che modo questi altri, da mondi lontani, passano per tappe che noi abbiamo superato? Cosa vedono di nuovo? Come mutuano dalle nostre esperienze o, al contrario, le trasfigurano? Per questo ho voluto proporre romanzi centrati sul tema dell’omosessualità, o sul legame tra populismo e malaffare, o sulla scomparsa delle tutele sociali.
LE DONNE DI SAMAN di Ayu Utami, che arriva oggi in libreria, segna un momento importante della storia dell’Indonesia, un decennio fa: la fine della dittatura, l’affermarsi della democrazia. Lo fa – e questo ci spiazza – seguendo il percorso di quattro giovani donne e dell’affermarsi della loro sessualità, più o meno liberata. E mette a confronto questo percorso con quello di due uomini a cui alcune di loro sono o sono state legate, due combattenti, impegnati nella difesa dei diritti della collettività o dei più deboli. Quello che sorprende è la sincronicità con la quale questi percorsi di liberazione si affiancano e contaminano. Come se, tanto per fare un esempio, in Italia avessimo davanti agli occhi nello stesso momento il 25 aprile, l’autunno caldo operaio e sindacale, e il femminismo di fine anni settanta. In un romanzo che, come si disse largamente in Indonesia (100.000 copie vendute), si legge tutto d’un fiato. (continua…)

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